Ciao piccolo, quando,
acceso il monitor tridimensionale della tua stanza, leggerai queste mie
sconclusionate righe sarai già grande, ed io , probabilmente, un pessimo
concime per la terra. Hopensato quindi fosse bene
farti avere notizie di prima mano su come sono andate le cose tra noi, prima
che Domineddio, sempre così incazzato e imprevedibile, decida di togliermene,
insieme al tempo e ai giorni, l'occasione, e soprattutto l’opportunità.
Come infatti saprai, avendo ormai percorso gran
parte del mio stesso cammino, chiacchiere e maldicenze vanno prese con le
pinze, e non sempre si può contare sui propri ricordi, specie quelli di una,
più o meno, rimpianta infanzia, sempre così indefiniti e inclini a perdersi nel
sogno.
Veniamo, dunque, al nocciolo della questione. Ho
idea possa esserti apparso come un papà sempre troppo nervoso, innegabilmente
distratto e ben poco presente, ma questo è quello che capita a quasi tutte noi
teste grigie, con scarsi mezzi e folta prole al seguito, è il nostro ruolo del
resto… a meno che non si abbia un posto fisso in banca o al ministero, e uno
stipendio, congruo e certo, a fine mese.
Qualche volta sarò stato pure stronzo,
l’ammetto, ma fossi in te m’abituerei fin d’ora per quando sarà il tuo turno.
Se t’ho inquadrato bene, infatti, e non so dirti se per disgrazia o per
fortuna, tu mi somigli alquanto, temo pertanto che finirai per seguire le mie
orme, più per scelta che per obbligo, bada bene, ritrovandoti un giorno a
guadagnarti il pane pezzo per pezzo, svezzando così figli, magari pure tanti,
senza una busta paga e con la neve in tasca.
Te lo consiglio, tesoro, non ti ci vedo proprio
a scattare sull’attenti e timbrare un cartellino, animo troppo inquieto il tuo…
è vero, è dura, ma ogni banconota guadagnata te la sarai sudata. Non dovrai
ringraziare nessuno, nessuno, e non è poco, potendo così passare a testa alta,
tra chi, a reddito fisso e spesato di tutto, t’avrà chiamato, a suo tempo,
ladro ed evasore.
Pupazzetti, stella mia, disegnati pure male,
bisogna capirli, se gran parte di loro è brava gente che, rimboccate le
maniche, lavora duro, un ‘altra, sia pur modesta, fetta, la più arrogante,
scalda soltanto una sedia, in genere la stessa per non meno di trent’anni,
rompendo, per di più, pure i coglioni…
Non sarò il migliore dei padri, non pretendo
tanto, ma non sono poi tanto male, e, a dirla tra me e te, in giro c’è di
peggio, io, se non altro, non faccio figli e figliastri e quando mi comporto da
stronzo, si vede lontano un miglio, non è mai un fatto personale, né dura a
lungo.
Di me rammenterai le tempie grigie, del resto,
quando sei venuto al mondo la mia chioma corvina era già un lontano ricordo.
Rievocherai la mia presenza quando attraverserai le vie del centro, e sentirai
la mia voce elettrizzata che ti esorta ad alzare lo sguardo, per osservare il
suggestivo profilo dei palazzi di via del Tritone e dintorni, appena ritagliati
dall’azzurro del cielo di Roma.
Non so quanto farò ancora per te da qui in
avanti, dipenderà dal vestito che la vita vorrà cucirmi addosso, ma stai pur
certo che, in un modo o nell’altro, avrei voluto fin d’ora fare molto di più…
certo, comunque, che saprai cavartela alla grande, anche senza il mio modesto
aiuto.
Le mamme sono fatte per rincuorare, i padri, in
genere, per rompere l’incanto. E’ un ruolo che assumo volentieri, perché, ne
sono certo, è il solo modo per farti crescere senza tante paturnie e grilli per
la testa, sottraendo così materiale d’analisi, e non pochi quattrini, a
strizzacervelli schizzati e in crisi d’astinenza. Se poi dovessi fare il botto
a un certo punto, be’, pazienza… non credere d’averne
l’esclusiva, è capitato, capita e capiterà ancora a tanti, per cui vedi di
rialzarti… e senza fare tante storie.
Ho sempre pensato non serva mostrare il proprio
amore, quando sa farlo benissimo da sé, e bravi ometti come noi, stellina
santa, non hanno, né avranno mai, bisogno di conferme. Quando si gioca a
scacchi, l’hai visto pure tu…. ’azzo, m’hai pure
battuto… son cento volte più importanti le torri, tetragone e massicce, che un paio
di cavalli imbizzarriti, che sanno solo scartare, scalciare e dare di matto.
Da giorni piove, una pioggia insistente che
ingrigisce tutto e martella le finestre, ma ricorda che oltre lo sconforto di
una giornata come questa c’è il verde intenso dell’erba di un giardino, devi
soltanto aspettare che venga primavera, là fuori e dentro di te, un vento caldo
che spazzerà via ogni minuscolo frammento di quotidiana indifferenza.
D’altra parte sei un ragazzino in gamba, al
momento di questo mio sproloquio non hai ancora dieci anni e già non ricordo
più l’ultima volta che hai pianto, non ci fare la bocca però, qualche stronza
lungo il viaggio la incontrerai di sicuro, saranno notti d’estate, notti di
luna, tutto quel che dovrai fare è cercare di attraversarle indenne… o almeno
provarci. Finché non troverai la donna giusta, quella con cui condividere prima
la passione e poi la tenerezza, fino a sedersi vicini, spiando, senza mai
farsene accorgere, l’uno le rughe sul volto dell’altra, cercando i segni che da
un anno all’altro incide il tempo.
Ormai sarai lontano, abiterai le stanze di un
altro appartamento, ma forse, di tanto in tanto, verrai a trovare queste. Ti
lascio solo, a confronto con l’emozione di tornare in una casa che è stata la
propria. La memoria affiora a contatto con ogni singolo mobile, ogni più
piccolo oggetto, la piega della tenda, le sedie poste asimmetriche intorno al
tavolo del salone. Ad accoglierti, ancora e sempre , quel particolare taglio
d’ombra nell’angolo della porta del bagno. Ricordi? Ti faceva tanta paura.
La luce filtra da una fessura nella persiana
rotta, la stessa luce di tanti anni prima. Con un gesto meccanico apri il
cassetto del mobile della tua vecchia cameretta, è vuoto, eppure ci vedi le
felpe e i pantaloncini d’allora. Dalla cucina l’acciottolio delle stoviglie,
mamma sta preparando la cena, dalla sala da pranzo il sordo ronzio di un
televisore sempre acceso, dalle stanze dei fratelloni il frastuono di quelle
epiche battaglie a colpi di joystick alle quali volevi tanto partecipare… tutto
questo in un assordante silenzio.
Ed ora torna a casa, quei suoni non sono
scomparsi, si alzano ancora, ma altrove, accompagnano i gesti di tua moglie
mentre rassetta, e quelli di tuo figlio mentre rovista tra i pixel di un
computer, cercando tracce di vita di un vecchio nonno pazzo. E allora, dal
silenzio dell’oblio, la casa dei ricordi emergerà di nuovo, come un’isola che
stavolta c’è… o, almeno, c’è stata.
Marco Tiddi
Pubblicata sul sito del Messaggero il 13 maggio
2010