La guerra di Piero



 

omprendere quello che era il clima storico e culturale dell’Italia degli anni 1939 – 1940 , per inserirvi il vasto epistolario che il sergente Pietro Tiddi ebbe con i suoi cari , dalla scuola militare di Bolzano prima e dal fronte greco albanese poi , assolutamente necessaria tale premessa per ambientare questo eroico sacrificio da immolare ad un’idea di Patria che , al giorno d’oggi , farebbe sorridere qualsiasi diciassettenne alle prese con i patemi d’ amore e i turbini  dell’adolescenza.

Pietro non fu certamente un tipo facile da domare, lo testimoniano i continui rimproveri che zampillano di continuo dalle lettere del padre, della madre, di Bianca , il suo “Angelo”,  come lui stesso la definisce, e persino da quelle dei fratelli.

Bianca era senza dubbio, lo si legge fra le righe di tutte le missive, una ragazzina molto sensibile , drammaticamente innamorata della personalità di Pietro e stregata dall’indubbio carisma del sergente cinematografista.

Gli ammonimenti dei familiari hanno spesso un sapore di amaro rimprovero , fin troppo, e  contribuirono senz’altro alla tragica determinazione del soldato nel dimostrare il proprio valore. 

“Mamma tua ha dimenticato le cattive parole che le dicesti…”, “fatti ben volere dai tuoi superiori…” o ancora “cerca di essere più buono”.

Persino i fratelli tendevano continuamente a fare della morale spicciola ,cerca di non spendere più del necessario”, “non dire parolacce”, “cerca di evitare di dire le bugie”, e ancora “ non chiamare scocciante la romba, essa è la voce del dovere.”

Certamente un temperamento ribelle, come quello di Pietro, non sopportava ramanzine di tal fatta,  doveva tuttavia tenerle nel dovuto conto. A differenza dei fratelli, succubi della forte personalità della madre , egli amava vivere la vita , e , come spesso accade, la perse  non appena cominciò ad assaporarne il gusto.

Anche nello studio si applicò poco e malvolentieri , nonostante le promesse di voler “…riprendere gli studi , Bianca me l’ha fatto promettere davanti alla Madonna” spese durante la sua breve e folgorante trincea in terra di Grecia. Ma forse quel desiderio di tornare sui libri “ per guadagnarmi quel posto che mi spetta per la mia intelligenza”  era dovuto al desiderio di tornare di tanto in tanto a casa in occasione degli esami, la morte però lo colse prima di poter realizzare tale progetto.

La dispotica personalità di mamma Anna Maria , che in casa era senza dubbio colei che comandava e la scarsa adattabilità a vivere un’esistenza mediocre portarono Piero a maturare l’idea della vita di caserma, unica via per liberarsi da quell’abbraccio soffocante e trovare, come diremmo oggi, una propria dimensione.

Il bersagliere Pietro Tiddi era ben diverso dai fratelli Walter e William , certamente più sottomessi al volere dei genitori e incapaci di contrastarne le decisioni , il suo era uno spirito ribelle e in quel tempo di nero intenso non era certo facile come oggi non essere al passo coi tempi, l’anticonformismo era il peggior difetto che un giovane fascista potesse avere e un leone tra le pecore, allora come oggi  , poteva provocare grossi guai. 

Per quanto riguarda la fedeltà alla causa fascista non mi sentirei di giurarne l’incrollabile fede “nell’ora delle decisioni irrevocabili”, un soldato fedele sì , sempre pronto e disposto a svolgere il proprio dovere fino in fondo, ma l’idea degli “immancabili destini ” trapela più dalle lettere dei suoi cari che dalle sue.  Non che non credesse a certi ideali ma probabilmente per lui la guerra era poco più di un gioco, aveva solo 17 anni quando indossò la divisa. Riuscire in qualcosa, era questo che contava e il sentirsi “diverso” e continuamente rimproverato maturò in lui il fermo proposito di dimostrare a tutti quanto valesse.

Se poi dimostrare il proprio valore poteva voler dire perdere la vita , questo era di secondaria importanza , d’altra parte , nell’incoscienza dell’età, egli era certo che il vigore fisico e lo sprezzo del pericolo l’avrebbero preservato dalla morte rendendolo invulnerabile al piombo nemico .

Nato il 10 febbraio 1922 Pietro , come Walter e William venuti al mondo appena dieci mesi più tardi  , fu figlio del suo tempo . Il 30 ottobre dello stesso anno Benito Mussolini salì al Quirinale per sottoporre al re la lista del suo primo governo, va da sé come i tre fratelli non potessero che essere educati fin dall’inizio nel rispetto dei valori dinastici e nell’ assoluta fedeltà al Regime . Come la maggior parte dei suoi coetanei ,  molti dei quali cambiarono bandiera non appena il vento mutò direzione  , anche Pietro  entrò a far parte degli inquadramenti della gioventù fascista. Prima come “Balilla”  , poi come “Giovane fascista” fece parte della legione marinara “Caio Duilio” nel periodo che va dal 1930 al 1938.

Nel marzo 1939, come già accennato, stanco di una vita priva di emozioni , si arruolò volontario e partecipò come da suo ardente desiderio ad un corso di allievi sottufficiali cinematografisti  presso la scuola di Bolzano. Nell’epistolario non c’è traccia della corrispondenza relativa al periodo trascorso presso la scuola di Bolzano, probabilmente quelle note saranno andate perdute.

Dopo un avvio incerto, dalle lettere di quel primo periodo si denota infatti una certa nostalgia per l’ambiente familiare, s’appassionò alla vita militare e nel settembre dello stesso anno conseguì la nomina a sergente.

Nell’estate precedente aveva presumibilmente incontrato , in vacanza a Sestri Levante,  Bianca e di fronte alla “Madrina” le aveva giurato eterno amore, di certo la relazione fu osteggiata dalla famiglia di lei se è vero come è vero che Piero le scriveva presso l’indirizzo di un’amica.

Pietro aveva dunque trovato la sua via, la vita di caserma pareva offrirgli quel di cui aveva bisogno, un ideale in cui credere, purtroppo all’orizzonte sorgeva però un sole rosso sangue per l’Europa, l’Italia e di lì a poco il mondo intero.

Parliamone brevemente.

I successi della Germania nazista in Cecoslovacchia consolidavano nel duce il proponimento di una conquista di prestigio che affiancasse Roma a Berlino nel suo trionfale cammino, l’obiettivo era l’Albania , meta d’altra parte sempre agognata. L’operazione , nome in codice “Manovra T”,  era pronta a partire. Zona d’influenza italiana già all’ epoca delle guerre balcaniche il paese delle Aquile era presidiato dalle truppe italiane fin dal 1920. Nel 1928 l’alleanza definitiva dei due paesi prevedeva l’invio di una missione militare italiana in Albania per l’addestramento dei soldati e la costruzione di fortificazioni al confine.  

Zog si era fatto proclamare re d’Albania , fin dal 1924 , proprio grazie all’aiuto finanziario italiano , ottenuto però il potere mutò atteggiamento verso l’antico partner già agli inizi degli anni trenta , il popolo albanese, al contrario, vedeva di buon occhio una soluzione energica italiana nei confronti del regime di Tirana.

La paura che il colosso tedesco potesse impadronirsi anche del petrolio albanese convinse Ciano, mosso anche da personali rivalse che non staremo qui ad illustrare , della necessità di partire con la “Manovra T”. Alle ore 12 del 6 aprile 1939 sarebbe scaduto l’ultimatum per l’occupazione italiana.

Zog non volle cedere, così , alle 18 dello stesso giorno l’aviazione tricolore sorvolò le città albanesi lanciando manifestini con l’annuncio dell’arrivo dell’ “Amica Italia”. Intanto da Bari partiva il primo contingente italiano, 21.900 uomini con un imponente appoggio navale e sei stormi da caccia, ricognizione e trasporto.

Alle 4,30 del mattino del venerdì Santo 7 aprile1939 il corpo d’occupazione italiano mette piede in Albania, le sue quattro colonne sbarcano a S. Giovanni di Madua , presso Durazzo, Valone e Santi.

A Durazzo 12 morti e 53 feriti sono l’unica perdita italiana per la conquista albanese, il 12 aprile viene offerta la Corona di Zog a Vittorio Emanuele III°.  

Passa poco più di un anno, Mussolini è in procinto di dichiarare guerra a Francia ed Inghilterra , l’odore della polvere da sparo è già nell’aria, Pietro vorrebbe partire subito per l’ Africa Settentrionale per combattere in prima linea, non essendo però possibile accontentarlo chiede di essere inviato in Albania con i primi corpi di spedizione in partenza e grazie all’aiuto dell’Ammiraglio Riccardi e di uno zio funzionario in Albania ottiene quanto desidera.

Ricevuto il permesso lascia la scuola cinematografisti di Bolzano e si unisce all’  undicesima armata diretta nelle zone di ValonaTepeleni , lasciando così l’elmetto da geniere per quello di bersagliere.

Nel maggio 1940 sbarca nella zona vicino a Tepeleni, un campo di battaglia dove molte migliaia di soldati italiani verseranno presto il loro giovane sangue.

Perché volle spingersi fino a quel punto ? Perché combattere in prima linea ? Una domanda cui non è difficile a questo punto rispondere  , probabilmente un ideale , forse la smania d’ avventura , certamente, ancora una volta , la voglia di dimostrare a tutti , e in particolare ai familiari, di che tempra fosse fatto.

Se l’idea di Patria fu per lui un cardine insostituibile , la fedeltà al Regime non lo fu altrettanto, nelle trincee si respirava infatti un’aria certamente meno carica di retorica che all’interno della Nazione, il malumore delle truppe ricacciate verso l’interno dalla guerriglia greca si faceva ogni giorno più pressante e nelle lettere di Pietro sfuggite alla censura si legge tra le righe un sordo rancore verso i carnefici e la retorica fascista.

La signora Sansonetti, moglie di un medico che abitava al piano di sotto dell’appartamento di via Pompeo Magno , implora in una sua Pietro di “non parlare di cose militari, non fare politica”, “qui la situazione è critica. Hai capito?”

Cosa fu veramente la guerra in terra greca? Soltanto la necessità del Regime , vacillante all’interno, di risollevare le sorti dopo le delusioni patite nella guerra d’Africa? Probabilmente sì. L’offensiva di Graziani in Libia era infatti fallita , la guerra lampo non si rivelava tale e rischiava di diventare, soprattutto in fronti come quello greco albanese, una guerra di posizione come quella del 1915-18, dove, per conquistare pochi lembi di terreno si dovevano sacrificare migliaia di vite.

La Nazione aveva bisogno di una scossone, di un’impennata di prestigio , Mussolini stesso riteneva indispensabile un successo militare per risvegliare l’entusiasmo ormai sopito della piazza.

Oltre a continui , estenuanti combattimenti i fanti italiani dovevano affrontare il maltempo e la febbre malarica , anche Pietro , come molti altri commilitoni, prese la malaria ma il suo fisico robusto gli permise di guarire in fretta per tornare in prima linea.

Ciano nel frattempo tesseva le sue trame , preparava il campo per l’esercito comprando numerose personalità greche convinto che questo aprisse la strada ad un’incruenta annessione della penisola ellenica da parte italiana. Un disastroso, tragico errore.

Mentre lo Stato Maggiore italiano prepara il piano d’intervento denominato “Emergenza G”, il primo ministro greco Metaxas rafforza la sua posizione interna e fortifica le zone di confine con l’Albania.

Il 27 ottobre 1940 riceve l’ambasciatore Grazzi che gli reca l’ultimatum : poter occupare alcune posizioni strategiche greche per la guerra contro la Gran Bretagna , paese che , considerata la forza preponderante della sua flotta, il governo greco ritiene il naturale alleato contro le mire espansionistiche italiane.   "Alors , c'est la guerre" esclama , comincia la guerra di Grecia.

L’Italia muove contro la Grecia 87.000 uomini divisi in 86 battaglioni con 686 pezzi d’artiglieria,  Pietro, arruolato nei bersaglieri si schiera con il suo battaglione nella zona della undicesima armata , in prima linea, sul fronte di Tepeleni , a ridosso dei confini con l’Epiro dove più forti e insistenti si faranno qualche tempo più tardi i contrattacchi greci.

La mattina del 28 ottobre alle ore 6 scatta l’offensiva , sulla Vojussa si muovono i bersaglieri della “Centauro” presumibilmente, in un primo tempo, proprio il battaglione di Pietro. Ancora senza equipaggiamento avanzano in territorio greco mentre il maltempo imperversa. All’inizio solo brevi scaramucce , fino al 31 ottobre i morti si contano sulle dita di due mani. Starace, dopo una brevissima escursione sul fronte greco torna a Roma e chiede la concessione di una medaglia d’oro. Il 1° novembre Mussolini, dopo una breve vacanza in Albania, rientra nella capitale , contemporaneamente il generale Papagos blocca l’avanzata delle nostre truppe e sferra la controffensiva, per i nostri soldati comincia il calvario.

Mentre i combattenti cominciano a morire come mosche a Roma si cerca un capro espiatorio per giustificare almeno in parte una condotta militare deficitaria.

In casa Tiddi si respira ormai un’aria pesante, carica di preoccupazione , le notizie che dal fronte riescono a sfuggire alla censura sono tutt’altro che rassicuranti.

Il 18 novembre , mentre in Grecia la situazione va ulteriormente peggiorando, il Duce parla davanti ai gerarchi del P.N.F.. Dopo un discorso carico di retorica conclude, dopo aver portato a giustificazione della disfatta il maltempo e la mala sorte , con una delle sue frasi ad effetto : spezzeremo le reni alla Grecia! In  due o otto mesi, non importa!”

Sul fronte dell’undicesima armata dove milita Pietro la pressione dell’esercito greco si fa fortissima, i mortai devastano le nostre posizioni , i combattimenti sono ormai corpo a corpo, baionetta, bomba a mano e rivoltella.

Il 19 novembre , in uno di questi aspri scontri il 5? Reggimento bersaglieri, quello di Pietro, più precisamente il 26° artieri , è impegnato in una cruenta battaglia a Zaraplana Ponticates e il sergente Tiddi si distingue in combattimento tanto da essere decorato con la prima delle medaglie d’argento concessegli sul campo. 

 

“Sott’ufficiale pieno di entusiasmo e di grande ardimento durante un aspro combattimento , accortosi che un ufficiale della propria Compagnia , ferito gravemente, era stato preso dal nemico, si lanciava per riprenderlo e dopo un’epica lotta corpo a corpo riusciva a riportarlo nelle nostre linee. Si distinse più tardi in successivi combattimenti per bravura ed ardimento.

Esempio mirabile di attaccamento al dovere, di devozione a superiore e sprezzo del pericolo”

Zaraplana Ponticates 19 novembre 1940 XIX°.

 

Il colonnello Solinas che lo ebbe successivamente geniere tra i bersaglieri , combattente di prima linea alle sue dipendenze, si esprime sul suo comportamento come si può rilevare dalla lettera che lo stesso alto ufficiale inviò all’Eccellenza Riccardi.

“Eccellenza , ho lasciato da una quindicina di giorni il comando del 5° reggimento bersaglieri per assumere il vice comando della terza divisione colore P.A.D.A., ed al nuovo recapito mi è pervenuta la vostra lettera con la quale mi segnalate le aspirazioni della famiglia del Sergente Tiddi eroicamente caduto sul campo il 9 gennaio scorso.

Ricordo perfettamente , e con vivissima affettuosa simpatia ,la bella figura del Tiddi che era ai miei ordini – quasi sempre al mio fianco – durante le operazioni della colonna Solinas operante in Val Vojussa prima , e poi in ZaraplanaPonticates – Valle Drino.

Pur appartenendo a reparto di altra arma lo consideravamo un bersagliere del 45° ed egli – fierissimo di ciò – durante la sua appartenenza al reggimento vestì da bersagliere - con un elmetto piumato -  combatté da bersagliere tra i bersaglieri, e certamente cadde da bersagliere sfidando come sempre ogni offesa nemica.

Il suo slancio, il suo entusiasmo , il suo coraggio erano diventati addirittura leggendari nella Colonna, tanto che, per frenare un po’ l’impulso troppo generoso del suo animo eroico , ritenni opportuno ad un dato momento di tenerlo vicino a me , al comando della colonna, per incarichi di fiducia.

Il 4 gennaio però egli dovette lasciare il Reggimento, perché richiamato al proprio reparto ( 3° Compagnia artieri del 26° raggruppamento Genio) che si trovava allora sulla strada Berat- Klisura e precisamente a 5 km da Klisura.

Molto a malincuore lo vidi partire dal mio Comando – sempre con l’elmetto piumato in testa – e lo abbracciai commosso, ringraziandolo di quanto aveva fatto. Ma io ritornerò, sig Colonnello, ritornerò a combattere col 5° appena incominceranno le operazioni, voglio tornare coi bersaglieri.’

Sono le ultime parole con le quali si accomiatò da me.

Fu solamente dopo diverso tempo che appresi con grande dolore dalla lettura di un giornale che il Tiddi era caduto il 9 gennaio, appena cinque giorni dopo la sua partenza dal 5° bersaglieri!

Non sono in grado di dare alcuna precisazione sull’avvenimento, certissimamente eroico, che volle immolata la sua esuberante giovinezza. Esso potrebbe essere oggetto da parte dei suoi diretti superiori, di una nuova proposta per altissima ricompensa, abbinando eventualmente quella già ottenuta medaglia d’argento sul Campo che sarebbe commutata in medaglia d’oro.

Del buon esito della cosa sarei anche io oltremodo lieto per il magnifico ricordo che serbo del valorosissimo Tiddi.

Vogliate gradire Eccellenza i sensi della mia devozione ed i miei ossequi.

Aff.te

F.to Col. Solinas

 

P.M. 10/7/941/XIX°

 

Dall’Italia in maniera confusa si mandano rinforzi in tutta fretta, ma i nuovi arrivati non sono equipaggiati, mancano loro i mezzi di trasporto , i cannoni, i veicoli , persino i muli, sono solo fanti inesperti mandati incontro a morte certa.

Sembra di tornare ai sanguinosi combattimenti della Grande Guerra , migliaia di morti per poche centinaia di terreno pietroso, perso nello scontro dell’indomani.

Il 3 dicembre il quadro peggiora ulteriormente , i greci rompono il nostro schieramento sul settore di Pernati- Klisura , zona di operazioni del 5° Reggimento artieri , quello di Pietro.

Lo scontro si fa durissimo ed estremamente sanguinoso , in Italia il Regime ha bisogno impellente di un capro espiatorio, viene quindi sacrificato Badoglio e al suo posto è nominato Cavallero Capo di Stato Maggiore.

Pian piano, nonostante tutto, il fronte si stabilizza a prezzo di immani sacrifici , i nostri soldati hanno tenuto , ma proprio in uno di questi epici scontri , a Klisura, la zona in cui il 3 dicembre le truppe greche avevano tagliato in due la nostra undicesima armata , l’8 gennaio 1941, nell’azione di Kilisimoro Pietro cadeva mortalmente ferito alla testa e all’addome, in conseguenza di un altro gesto eroico per cui gli fu concessa una seconda medaglia d’argento, questa volta alla memoria.

La proposta del Corpo era, in verità, la concessione di una medaglia d’oro , ma fu in un secondo momento mutata in medaglia d’argento e vani furono tutti i tentativi fatti più tardi dal padre Caio, perché fosse accordata al figlio la medaglia d'oro.

Pietro , che aveva una forte miopia, aveva perso qualche tempo prima anche gli occhiali, e per paura che fosse allontanato dal fronte , almeno temporaneamente pr munirsi di nuove lenti, non mostrò mai ai suoi superiori l’handicap che questo fatto doveva indubbiamente comportargli.

Quel tragico giorno Pietro , in fase di ripiegamento, mentre si prodigava per mettere in salvo importanti materiali di un magazzino avanzato , veniva assalito da forze superiori. Benché ferito non si diede per vinto, egli infatti continuò l’impari lotta con bombe a mano, riuscendo a porre in fuga il nemico.

Il giorno successivo, 9 gennaio 1941, spirava all’ospedale da campo 480 di Klisura sul fronte greco – albanese.

I suoi familiari continuarono a scrivergli a lungo, ogni lettera mostrava maggiore preoccupazione. Infine il Ministero della Guerra inviò una laconica cartolina alla famiglia : di protocollo 9898/M, solo poche parole dattiloscritte:

 

“ Si certifica che, come da comunicazione ricevuta dalle competenti autorità , il Sergente cinematografista Tiddi Pietro di Caio risulta deceduto sul fronte greco albanese il 10.1.941. Per ferita alla testa e all’addome”.

Il Capo Ufficio Colonnello Luigi Ricci.

 

Un “eroe bugiardo”,un “sii uomo” , un “fatti onore”, aveva dimostrato a tutti di che pasta fosse fatto, nessuno di noi potrà dimenticare la sua grandezza, la generosità, l’indomito coraggio. Non era stato uno studente diligente, nemmeno un figlio modello, ma un autentico piccolo, grande uomo capace di morire a diciott’anni .

Il 1° novembre 1960, con una mesta cerimonia svoltasi nel sacrario dei caduti al Verano , vengono consegnati ai familiari delle vittime le salme di 24 soldati caduti sul fronte greco albanese, fanno parte del gruppo delle 3.866 sbarcate a Bari qualche tempo prima, fra queste il Sergente Pietro Tiddi, zio Piero torna a casa.