Capitolo 8

 

Piani di fuga

 

 

 

 

Quando Barbara entrò nella sala da pranzo dove l'aspettavano i genitori e gli zii  la tavola era già apparecchiata, il padre la fissò con piglio severo ma distolse lo sguardo non appena incontrò i suoi occhi.

"Domani si parte."Bofonchiò alla figlia portando la forchetta alla bocca e cercando al contempo d’evitarne lo sguardo.

"Cosa? Domani?"

Barbara avvertì un tuffo al cuore. Trattenne a stento la rabbia.

"Certo! Proprio domani!"Ripeté quello riempiendo il bicchiere fino all'orlo.

"Roma è libera da quasi un anno , la città ormai è tranquilla ,  possiamo tornarcene a casa così  potrai  riprendere gli studi."

"Così presto?"Ribatté incredula , gli occhi persi nel vuoto nel vano tentativo di fermare il tempo.  Scosse con forza la testa.

"No! Non ci vengo!"Urlò alzandosi di scatto da tavola.

Il piatto,  urtato dal  gomito , volò dalla tovaglia frantumandosi in un nugolo di cocci che finirono sparsi sul pavimento.

Ci fu un momento di silenzio , poi intervenne la madre.

"Si può sapere che ti prende?"

Tirata indietro la sedia con una mano, , dopo aver asciugato le labbra umettate del buon vinello che accompagnava i manicaretti preparati da Linda, posò con l'altra il tovagliolo accanto al piatto e tornò a chiederle :

"Problemi di cuore?"Ridacchiò con un sorrisetto morboso stampato sulla bocca e lo sguardo divertito rivolto agi altri commensali.

La Signora non perse di vista la scodella limitandosi , con gesti nervosi , ad annuire, gli occhietti sprezzanti e un sogghigno strafottente. Zi' maestro scrollò le spalle, respirò a fatica per riprendersi dall'abbuffata poi  tornò a tagliare a piccoli pezzi  la carne di coniglio adagiata su quel saporito sugo di pomodoro che ricopriva la polenta fumante ed in parte gli era finito sotto il mento  lasciando tracce ben visibili sul colletto della camicia.

Soltanto l'omino rimase scosso dal comportamento della figlia che se ne stava quasi inebetita ritta in piedi accanto al camino , gli occhi bassi a fissare il pavimento. D'un tratto la ragazza sentì un formicolio che salendo dai piedi le entrava nell’inguine , si voltò portò le mani al viso e corse via dando libero sfogo alle lacrime, il padre  tentò di fermarla  ma fu trattenuto dalla moglie.

"Lasciala stare Cornelio!"Gli intimò afferrandolo per un braccio.

Barbara era già fuori in giardino seguita dallo sguardo preoccupato di Luca che aveva ascoltato il colloquio dalla cucina dove stava pranzando con il resto della servitù. La raggiunse, l'abbracciò e le sollevò con le dita il mento costringendola ad alzare lo sguardo . Senza fiatare le asciugò ancora una volta il rivolo scivolato sulle gote chiedendo a quei suoi occhi gonfi e arrossati  un sorriso.

"Domani…capisci…domani."

Sospirò la ragazza singhiozzando, la voce tremula strozzata dal pianto.

"Calmati amore mio, hai ragione tu! Non mi perderai."

Le prese mano , si chinò e , accostate le labbra all’orecchio , bisbigliò:

"Non ti porteranno via. Ce ne andremo insieme! Stanotte stessa, tieniti pronta! Quando tutti dormiranno."

Non le lasciò il tempo di replicare, si sciolse dall'abbraccio lasciò scivolare le  mani dalle spalle sulle braccia fino a sfiorarle le mani, le dita,  poi accennò un sorriso  e rientrò in casa.

Barbara rimase confusa , lo vide sparire ingoiato dal portale del villino, cercò di calmarsi, asciugò col palmo delle mani il viso imperlato di lucciconi,  strofinò gli occhi irritati   e salì la breve rampa di gradini che portava fuori. Oltrepassato il cancello, attraversò la strada e si diresse verso il fontanile .  Sedette sul bordo accanto alla giumenta bianca che s'abbeverava alla vasca e cominciò a tormentarsi le unghie guardando il mondo attorno deformato dalle lacrime.

Titina, la cavalla,  voltò lentamente il muso verso la nuova arrivata , l'osservò incuriosita , sembrava comprendere quelle pene, poi tornò a tuffarlo nell'acqua stagnante e torbida della cisterna. Perseguitata dalle mosche che le ronzavano attorno scrollò il collo robusto agitando la folta criniera , prese ad agitare la lunga coda e cercò di spazzar via quegli indesiderati e fastidiosi ospiti dal dorso e dalle natiche.

Poco dopo dall'inferriata sbucò Cornelio, cercò la figlia, la trovò accanto alla fontana  e si diresse verso di lei.

Basso , mingherlino, occhi tristi , aria letargica , non aveva certo il fascino del fratello. Un minuscolo nasino, inadeguato alle fattezze di un uomo come si deve, scompariva inghiottito dalla folta barba nera e dai buffi favoriti plissettati che nascondevano labbra sottili.  Completavano il poco lusinghiero  aspetto i radi capelli che coronavano il capo calvo e lucido alla sommità , tratteggiando l'ovale di un faccione bonario assistiti da supponenti basettoni.

Le prese la mano , se la pose sul cuore.

"Bambina mia. "Tentò di coccolarla."Non piangere. Tanto male faccio alla mia piccola a portarla via da qui ? "

"Perdonami babbo…"Farfugliò.

"E' che…è che…cominciavo ad affezionarmi a questo paesino…"

"Si' piccola , al paesello e al tuo pastorello."

La vezzeggiò sorridendo commosso, le appoggiò la mano sulla spalla e strinse forte.

Barbara abbozzò un sorriso ed arrossì.

"Vorrei scusarmi anche con la mamma e gli zii."

"Ne senti proprio il bisogno?"Domandò quello unendo le labbra e sollevando le sopracciglia. Con una mano a conca raccolse un po’ d’acqua dal cannello , se la portò alla bocca poi, asciugandosi con il polsino della camicia, tornò ad incontrare gli occhi della figlia ed aggiunse:"Comunque se lo vuoi davvero  sono ancora là dove li hai lasciati."

Barbara si alzò, pose le braccia attorno ai fianchi del padre, appoggiò la testa sulla sua spalla ed insieme s'avviarono verso la villa .

Lo sguardo di Titina accompagnò per un breve tratto il cammino dei due che si allontanavano da Fontinova poi tornò a cercare il luccichio dell'acqua dell'abbeveratoio che scintillava trafitta dai dardi del sole.

Presentate le sue scuse Barbara chiese il permesso di ritirarsi in camera.

"Non mangi?"

Le chiese la zia senza staccare gli occhi dal piatto.

"Non ho fame."

Sollevato lo sguardo la fissò ancora una volta con aria interrogativa, alzò le spalle ,si piegò in avanti  allungando le braccia fino a raggiungere il posto vuoto di fronte al suo ed afferrato il piatto di polenta ormai fredda e rappresa della nipote l'avvicinò a se. Impugnò nuovamente coltello e forchetta ne tagliò una fetta e la portò alla bocca.  Assaporò lentamente, alzò gli occhi al cielo quasi fosse una penitenza non sprecare  tutto quel ben di Dio e , dopo aver pasteggiato un sorso di vino, tornò ad ingozzarsi .

Barbara si voltò, salì la scala che conduceva alle camere da letto, salutò con un cenno della mano i genitori che l'avevano seguita per ritirarsi nella loro camera a schiacciare un pisolino, entrò nella sua stanza e , appena sola,  si assicurò che la porta fosse ben chiusa.

Tirata fuori dall'armadio la borsa da viaggio  la poggiò sul letto, la pulì con il dorso della mano, l'aprì e cominciò a riempirla con gli indumenti necessari e le poche cose cui teneva veramente.  Una vecchia bambola di stoffa , ormai sciupata, cui chiedeva conforto quando bimba sgranava gli occhi spauriti nell'oscurità delle lunghe e angosciose notti di veglia e un raffinato volumetto rosso.  Sulla copertina rigida  , a caratteri dorati con stampa a rilievo,  il titolo, "I canti di Giacomo Leopardi”, appiattito tra le pagine il fiore che Luca le aveva regalato il giorno del loro primo incontro.

Lo sfilò, lo rotolò tra le dita poi lo ripose con cura tra le rime del poeta di Recanati, sollevò la sacca ,la infilò sotto la rete ed attese impaziente la notte.

Trascorsero lente le ore, i polli sbattevano le ali emettendo i loro suoni inarticolati , il vecchio Giobbe si godeva il tiepido sole del primo pomeriggio sonnecchiando sulla sedia di vimini accostata alla facciata principale dell'edificio accanto al lavatoio. A cullarlo l’incessante frinire delle cicale che sembrava voler limare la campagna profumata d’erba e spighe mature.  . Poco più in là zi' maestro , seduto sul muretto basso che circondava il villino,  giocherellava tediosamente con due monete facendole tintinnare ora nella mano destra ora nella sinistra , lo sguardo stanco a fissare il paese ritagliato in lontananza tra le montagne di fronte . Nei suoi occhi si poteva leggere la noia mortale di quel pomeriggio così arido e uguale a tanti altri.

Uomo d'arte e fine politico aveva aderito come tanti alle lusinghe del fascismo e non si era certo fatto scrupolo di arricchire alle spalle dei compaesani. La gente del paese aveva per lui una vera adorazione , nessuno sapeva resistere al suo carisma , a quei modi autoritari, a quelle sonore risate che prendevano in giro i poveri pastori tanto al di sotto del suo rango. I bei tratti del viso, l’espressione a un tempo penetrante e severa , lo stesso suono della voce , la proprietà di linguaggio, tutto ciò conquistava e intimidiva.

Amava , però , profondamente la sua terra,  dov’ era tornato , dopo una fulminea carriera politica nella capitale e lunghi viaggi all'estero, non appena annusato il fetore di epurazione che stava per abbattersi sugli alti gerarchi del regime. Cresceva in quei giorni l’animosità delle popolazioni, specialmente nelle grandi città , verso chi aveva militato nel partito, per molti il desiderio di vendicarsi dei torti subiti dalle camicie nere si era fatto incontenibile . Tornare all’ovile e rintanarsi tra la sua gente , questa per lui l’unica possibilità di cavarsela senza rimetterci la pelle. 

Barbara nel frattempo, stanca d'aspettare, era scesa in cortile e passandole accanto lo salutò:

"Buongiorno zio."

L'uomo volse appena la testa in direzione della voce e riconosciuta la nipote ricambiò svogliatamente il saluto.

"Ciao cara."

"Non riposi?" Chiese petulante la ragazzina.

"Non sono stanco."Rispose indolente continuando a far tinnire gli spiccioli tra le dita.

D’un tratto si fermò , ripensò alle parole appena pronunciate, sorrise,  poi riprese quell’ ossessivo passatempo tornando a fissare un punto indefinito all'orizzonte.

"Vado a fare un giro . Avverti tu la mamma?"

"Vai, vai figliola. Buona passeggiata ! Ci penso io."

Accennato un saluto Barbara s’incamminò per raggiungere il compagno che aveva visto poco prima allontanarsi nel luogo dove erano soliti appartarsi, percorse poche centinaia di metri poi , oltrepassata la curva oltre la quale spariva alla vista il villino, incrociò il bivio.

Di là cominciava la strada serpeggiante di pietre bianche  che costeggiava i fondi dei contadini e i pascoli erbosi prossimi al borgo. Dopo un paio di curve , lasciata la via della Madonna,  imboccò un viottolo scosceso che s’arrestava di fronte a un piccolo cancello di legno spezzato in più punti,  seminascosto da piante rampicanti e dai rami pencolanti  di un noce ricoperto di una muffa rossastra. Al suolo vide un passero dalle ali spezzate, ne ebbe pietà, lo raccolse ma non c’era più niente da fare.

La Retta, questo il nome dato a quel luogo caro a tutti gli innamorati, era una nicchia di terreno incolto cesellata nel punto dove  il Braccio, come era anche noto quel polveroso viale, piegava il gomito per poi srotolarsi fino a rasentare il cimitero ed incontrare più avanti le prime case del paese.

Sollevata la veste si chinò e s’intrufolò agilmente di traverso nella fenditura della staccionata. Giunta dalla parte opposta  si rialzò in piedi, rassettò la gonna salita sopra le ginocchia, si passò la mano tra i capelli per risistemarli e si guardò intorno in cerca di Luca .

Proseguiva disorientata nella ricerca strizzando gli occhi abbacinati dal sole basso all'orizzonte che baluginava sui fianchi del monte dove la terra arsa mostrava quasi le ossa, quando d’improvviso ,dal denso fogliame di un cespuglio, saltò fuori l'atletica  figura del giovane che battendosi il petto come un invasato lanciò un urlo assordante .

Colta di sorpresa fece un passo indietro rischiando d’inciampare in una radice sporgente ma fu prontamente afferrata per un braccio .

“Che diavolo fai?”Gridò non appena  riconosciuto quel pazzo scatenato.

“Che spavento! Sei diventato matto?”

“Sono il tuo principe azzurro. Ti porterò via in groppa al mio destriero  alato per farti  mia sposa e viver teco in un favoloso maniero!” Scherzò, poi la cinse all’altezza caviglie, la sollevò e roteò vorticosamente su se stesso.

“Mettimi giù!”Supplicò divertita.”Mettimi giù”

“Agli ordini mia principessa!”Luca ubbidì, poi tornò serio.

“Andremo via a mezzanotte!”

“Ma dove ?”

“Non ti preoccupare. Ce la caveremo. Attraverso il monte punteremo su Corcumello,  poi si vedrà.”

La ragazzina, turbata, cercò negli occhi risoluti del compagno la forza per decidere. Chiese certezze per i  suoi dubbi , implorò il suo sostegno e si lasciò andare adagiando il capo sul suo petto  .

Luca la coccolò per un breve istante , seguì con le dita il contorno di quel bel viso che conosceva a memoria , quindi la scostò da sé e tornò a chiederle.

“Allora? Siamo d’accordo per questa notte.”

La ragazza,  spaventata,  annuì senza fiatare , poi s’allontanò e, riattraversato il cancelletto,  se ne tornò silenziosa  verso casa.

Il ragazzo la vide andar via , nei suoi occhi apparve un luccichio d’orgoglio , non riusciva a capire.

“Se non te la senti te ne puoi pure tornare a Roma! Non ti costringo mica!” Le gridò.

Ma quella non rispose , non si voltò nemmeno, proseguì il suo cammino.

La seguì con lo sguardo ancora qualche minuto poi con un gesto di stizza si chinò, afferrò un sasso e lo lanciò con tutta la rabbia che aveva in corpo verso Ponte Ciavattone che baluginava giù in basso. Raccolse la giacca da terra e con un  balzo acrobatico  scavalcò lo steccato per avviarsi dalla parte opposta , verso la periferia del paese.

Giunta al villino Barbara dischiuse il cancello rimasto accostato, scese i gradini ed entrò in casa.  Fuori lo zio s’era assopito vinto dalla monotonia della giornata e fiaccato dall’abbondante pasto di qualche ora prima, nella mano destra stringeva ancora i suoi trillanti centesimi, intanto Giobbe , stravaccato sulla sedia di fronte,  ronfava rumorosamente.

Raggiunta la sua stanza si sdraiò sul letto e tirò fuori dal cassetto del comodino un logoro manoscritto che aveva scovato qualche giorno prima rovistando nella  preziosa biblioteca dello zio traboccante di libri e codici antichi , poche decine di pagine scritte a mano con l’elegante grafia ,  tornita e ricca di fronzoli,  dei primi anni del secolo dallo zio Giorgio ,  fratello della Signora.

Era una tormentata lettera indirizzata proprio alla sorella. Sul frontespizio, in alto a sinistra , il luogo e la data, Genova  22 ottobre 1914, al centro ,evidenziato a caratteri più marcati, il poco invitante  titolo, “Tristi Ricordi” ,in fondo  sulla destra il nome dell’autore. Accomodò il cuscino , piegò il gomito perché potesse sostenere la testa appoggiata sulla mano aperta poi, arcuate le gambe, con l’altra sistemò i fogli sulla coperta e lesse la dedica:

“A te dolce sorella che col tuo amore mi hai sorretto nei più tristi momenti questo piccolo omaggio offro.

 Accettalo e custodiscilo come pegno dell’affetto immenso che per te ha il tuo fratello.”

In cima all’epigrafe, incollate , due piccole foto, a sinistra quella sbiadita del padre, dalla   parte opposta la propria in alta uniforme, in basso ancora una volta luogo, giorno, mese ed anno.

Incuriosita voltò pagina e continuò la lettura…