Storia
di Roma in pillole
Parte Prima
Dalla monarchia
alle guerre puniche
I sette re di
Roma
cusami se ho trascurato troppo a lungo l’impegno
preso , ma in questo periodo papà ha avuto parecchio
da fare e doveva risolvere qualche problema di non poco conto . Ora sono di
nuovo qui e possiamo riprendere da dove avevamo
lasciato. La fondazione di Roma , se non ricordo male . Andremo un po’ di corsa , sono certo che capirai , se mi soffermassi su troppi
dettagli temo non riuscirei a finire il mio racconto in tempo , tu resteresti
con la curiosità ed io con il rimpianto dell’ennesima incompiuta , senza
contare che sarai presto più alto di me e sarebbe piuttosto difficile tenerti
sulle ginocchia.
Bene , quella che ti ho
raccontato ovviamente è leggenda o comunque una mezza verità, adesso sarà bene
sentire gli storici autentici .
Questi ritengono che il nome di Roma derivi da Rumon , antico nome del biondo
Tevere, e che le prime abitazioni sorsero sulla riva sinistra di questo fiume,
raggruppate in piccoli borghi, i quali poi si unirono e formarono la città
munita di una rocca per difendersi dai nemici.
Probabilmente hanno ragione ,
non per niente hanno speso le loro vite tra cocci e vecchie carte alla ricerca
di prove e indizi e noi, semplici
dilettanti della storia , non possiamo che affidarci delle loro conclusioni.
La leggenda narra che Roma fu governata per circa
240 anni da sette re succedutisi l’uno all’altro. Romolo, il fondatore, sarebbe
stato il primo , ma questo io e te l’avevamo già
imparato. Si dice che regnò con saggezza , assoggettò
i Sabini , un popolo vicino , divise il popolo in
tribù , scelse cento tra i migliori cittadini che aveva sottomano per essere aiutato
nel governo della città e istituì il Senato , allargò un bel po’ il suo dominio
con diverse conquiste e , dopo morto,
fu adorato con il nome di Dio Quirino.
A succedergli Numa Pompilio, un tipo pacifico , un contadino , protesse infatti l’agricoltura, promulgò
buone leggi , riformò il calendario e fece costruire il tempio di Giano , un
curioso luogo di culto , sempre chiuso in tempo di pace e aperto quando
arrivava il momento di menare le mani. Tullio Ostilio, terzo re di Roma , lo teneva spalancato , era infatti un re guerriero ,
distrusse la città di Albalonga e obbligò i vinti a
trasferirsi a Roma per accrescerne la popolazione.
Anco Marzio, succeduto al precedente , non era certamente più tenero , sconfisse alcuni popoli
latini, abbellì l’Urbe – sì , era l’antico nome di Roma – fece costruire sul
Tevere il primo ponte detto Sublicio , cioè “fatto di
travi” e alla foce del fiume , in riva
al mare, il porto di Ostia.
Tarquinio Prisco fu il quinto, estese il dominio
della città e fece costruire il Circo Massimo per i giochi pubblici ,
Servio Tullio , sesto re di
Roma , vinse gli Etruschi ed estese ancora di più il dominio della città, la
circondò di mura , fece il censimento della popolazione e la distribuì in
cinque classi in ragione della ricchezza perché ognuno pagasse le imposte in
proporzione di quanto possedeva, a quei tempi ci si riusciva, tra l’altro fu il
primo a coniar moneta .
L’ultimo, Tarquinio il Superbo – lo dice lo stesso
nome – fece un po’ lo stronzo ,
governò infatti da tiranno e il popolo romano , pacioccone quanto si vuole ma
non per questo scemo , non ebbe esitazione a cacciarlo via istituendo così
capi della rivoluzione contro Tarquinio furono
Giunio Bruto e Collatino , cambiarono il nome del loro
ufficio , da re diventarono consoli , ma le prerogative erano più o meno le
stesse.
Raggiunto l’equilibrio la nuova Repubblica poté
finalmente consolidarsi . Come già accennato il potere
centrale , prima delle mani di un solo uomo, passò in
quelle di due consules eletti dai comizi centuriati e
il cui mandato aveva la durata di un anno . Inoltre le diverse cariche
pubbliche , accentrate in epoca monarchica nella
persona del re , vennero spartite in una serie di figure distinte, i censori
vegliavano sui costumi, i pretori amministravano la giustizia, i questori
gestivano il patrimonio pubblico, i pontefici avevano mandato sulle questioni
religiose , infine gli edili erano preposti all’edilizia e al commercio.
Tarquinio tentò di rientrare a Roma e di ristabilire
il governo monarchico per mezzo di una congiura , alla
quale aderirono alcuni giovani patrizi, i nobili insomma , che mal sopportavano
la severità del regime repubblicano. La congiura fu però
scoperta da uno schiavo che ne riferì a Bruto. Costui fece arrestare i
colpevoli , tra i quali si trovavano anche i suoi
figli Tito e Tiberio, e condannò tutti a morte. Un tipo vendicativo. Egli
stesso assistette all’esecuzione della sentenza sacrificando così il suo
affetto di padre all’ amore della giustizia e della
libertà. Così almeno dicono gli esegeti dell’amor di patria ,
io non ne sono molto convinto.
Comunque Tarquinio era un tipo tosto e sostenne
quattordici anni una guerra senza tregua contro
Porsenna
dare una mano al re defenestrato ecco apparire il
capo di una confederazione di dodici città etrusche, tal Porsenna – il cui nome
significa poi principe . Un popolo invasore gli aveva
portato via il regno , ed egli , per rifarsi della
perdita , pensò bene di muovere contro Roma con un poderoso esercito. Dapprima
riuscì a sottomettere la città , ma i Romani si
riorganizzarono , lo sconfissero e riacquistarono in breve tempo la loro
indipendenza.
Molti secoli dopo gli storici romani scrissero che
Porsenna aveva combattuto per restituire il trono a Tarquinio
, e che egli aveva poi abbandonato l’impresa per gli esempi di eroismi
di Orazio Coclite , Muzio Scevola e Clelia. Ma i
Romani erano cazzari all’epoca e lo sarebbero restati
per sempre, quelli di oggi non sono poi così diversi ,
nascondevano infatti le sconfitte e glorificavano le virtù dei propri
concittadini , non disdegnando di raccontare favole, per il loro grande amor di
Patria.
Già , Orazio Coclite, cioè
cieco di un occhio. La leggenda dice che Porsenna giunse improvvisamente col
suo esercito sulla riva destra del Tevere , occupò il
colle del Granicolo e stava per penetrare in città quando un giovane , Orazio
appunto, gli si parò davanti e difese da solo il ponte Sublicio
per dare il tempo ai suoi commilitoni di tagliarlo alle sue spalle , poi si
gettò nel fiume e si salvò a nuoto .
Muzio Scevola
arra ancora la leggenda che il nemico cinse Roma
d’assedio nella speranza di poterla prendere per fame. A questo punto il
patrizio Caio Muzio , travestitosi da soldato etrusco,
s’introdusse nel campo nemico e qui uccise con un pugnale il segretario di
Porsenna scambiandolo per il re stesso. Evidentemente se Orazio era orbo di un
occhio il nostro nuovo eroe lo era di entrambi. Arrestato e minacciato di morte Caio disse allora a Porsenna : “Sappi che trecento
giovani hanno giurato , con me, di ucciderti , perché tu minacci la vita e la
libertà di Roma . Io punirò la mano che ha fallito il colpo! “ A questo punto
stese il braccio destro sopra la fiamma di un braciere che ardeva lì presso,
tenendovelo fermo , senza dar segno di dolore
anticipando di parecchi secoli palestrati alla Rambo . Porsenna , colpito da tanta
audacia e forza d’animo, concluse la pace con Roma. Muzio fu soprannominato Scevola , che significava mancino
, ci rimise un braccio ma ci guadagnò la gloria imperitura, lascio giudicare a
te se nel cambio c’abbia o meno guadagnato.
Clelia
l mito di Clelia invece è decisamente più
edificante , a me è sempre piaciuto un sacco .
Porsenna , che , a torto o ragione, era uno che si
fidava poco , trattenne in ostaggio dodici giovanotti e altrettante fanciulle
perché i Romani rispettassero i patti di pace stipulati. Tra queste fanciulle
c’era la bella Clelia , la quale , mal soffrendo la
prigionia, decise di fuggire . Così , nel cuore della
notte attraversò a cavallo la campagna romana -
gli storici si dimenticano ovviamente di spiegarci come abbia fatto a sfuggire
alla sorveglianza e dove abbia trovato il cavallo – e si gettò nel Tevere
nuotando per raggiungere la sponda opposta , poi si asciugò per non prendersi
un malanno e se ne tornò tranquillamente a casa . Ma i Romani
, fedeli ai patti , rimandarono la povera Clelia a Porsenna con un
biglietto di scuse. A questo punto costui fu talmente sorpreso da tanta lealtà ,
ma soprattutto ammirato per l’ardire
dell’eroica giovinetta , che non solo le restituì la libertà ma le concesse
anche di scegliere alcuni fra gli ostaggi e portarseli via con sé .
Si sveglia il
popolino
Romani erano obbligati ,
in forza di una legge , al servizio militare e ad armarsi e nutrirsi a spese
proprie in tempo di guerra. Questa direttiva arrecava gravissimi danni ai
plebei , i poveracci dell’epoca , i quali formavano la
classe più numerosa , costituita per la maggior parte da contadini costretti ad
abbandonare il lavoro dei campi e della famiglia e far debiti , più o meno come
i loro eredi d’oggi . I plebei dovevano poi restituire i quattrini
che si erano fari prestare ad usura , altrimenti i
loro creditori potevano batterli con le verghe , venderli come schiavi e
persino ucciderli . Da allora le cose sono decisamente migliorate , oggi gli strozzini si limitano a portarti via la casa e
la dignità. Ma non sono argomenti questi da dibattere in tale sede .
Per di più essi erano
esclusi dalle cariche dello Stato e , mentre erano obbligare a spargere il
sangue per
Insomma, tira e ritira anche la corda più resistente
finisce per spezzarsi , così la plebe ne ebbe
abbastanza e, proprio mentre la città era minacciata dai popoli vicini , si
ritirò sopra una collina , che fu poi detto Monte Sacro – sì , bravo , si tratta proprio della zona dove abitiamo
adesso - lasciando ai patrizi la difesa
delle loro terre , visto che alla fine della giostra chi ci guadagnava erano
solo loro. E’ a questo punto che spuntò
fuori il primo sindacalista
di regime che , fingendo di difendere i sacrosanti diritti del
popolino oppresso , si schierò in realtà
con
Menenio Agrippa
er tentare un accordo il Senato inviò infatti il patrizio Menenio Agrippa
, molto amato dalla plebe che anche allora era mollacciona
e d’indole fin troppo pacifica . Menenio salì sul monticello , poi riprese fiato ,
sfoderò la sua eloquenza e attaccò la seguente pippa
:
“Una volta le membra del corpo si ribellarono contro
lo stomaco, perché ritenevano che vivesse da ozioso impinzandosi delle pietanze
che esse gli procuravano con molta fatica. Per punirlo decisero di lasciarlo
morire di fame : le gambe e i piedi non si mossero più
, le braccia smisero di lavorare e non accostarono nemmeno più il cibo alla
bocca .
Ma così continuando le membra s’indebolirono e alla
fine finirono col persuadersi che se esse lavoravano per lo stomaco , questo a sua volta dava loro sangue , forza e vita.”
Così fecero la pace , lo
stomaco continuò ad abbuffarsi e le membra a faticare . Non tutti erano
convinti , qualcuno non ci vedeva chiaro e , forse per
via della fame , scorse alcuni insidiosi cetrioli volare pericolosamente bassi
. Ma allora come oggi bastarono
poche chiacchiere per convincere i più e lasciare le cose come stavano e il
significato che tutti diedero all’apologo era quello stabilito fin dall’inizio
dai notabili del Senato : corpo umano ,
stomaco , membra , altro non erano che Repubblica , Patrizi e Plebei . Se le
diverse classi di cittadini sono in lotta tra loro tutte ne soffrono e
A questo punto Menenio ,
non ancora pago del successo ottenuto , ritornò in città e volle che certi suoi
magistrati , detti tribuni , che difendevano
Era il primo vagito del sindacato ufficiale , i cobas , per il momento , rimanevano
al palo in attesa di tempi migliori , nel frattempo i centurioni romani avevano
anche trovato il tempo per sconfiggere la lega latina nella battaglia del lago Regillo –
Coriolano
n superbo patrizio, espugnatore della città di Corioli – non chiedermi dove fosse perché non ne ho la
minima idea - e proprio per questo chiamato Coriolano,
disprezzava in modo particolare la plebe e cercava in ogni modo di opprimerla. Un
vero infame insomma. L’odio che si attirò fu tale ,
che non solo non ottenne di essere console , ma dovette prendere la via
dell’esilio. Mi sembra il minimo. Ora avvenne che Roma ,
sempre piuttosto litigiosa , si trovò in quel periodo in guerra coi Volsci e con gli Equi suoi vicini ,e Coriolano compì l’atto
deplorevole di mettersi a capo dei nemici della Patria , per vendicarsi così
dei torti ricevuti.
Giunto alle porte della città, gli furono mandati
ambasciatori e sacerdoti per indurlo a desistere dall’impresa ma questi si
mostro irremovibile.
Finalmente si recarono al campo la moglie coi
figlioletti e la madre Veturia , il patrizio, appena
scorse le donne , mosse loro incontro e fece atto di abbracciare la genitrice –
mammoni sin da allora – ma questa lo respinse ammonendolo: “Prima tu dimmi se
tu sei mio figlio o un nemico di Roma !“
Coriolano non ebbe più animo di resistere , e stringendosela al cuore
- mentre la moglie rosicava chiedendosi quando si sarebbe deciso a
staccare quello stramaledetto cordone ombelicale – esclamò : Madre, hai vinto!”
I Volsci e gli Equi , abbandonati da Coriolano e dai fuorusciti Romani che con
lui avevano fatto comunella , dovettero così tornarsene al loro paese e Roma fu
salva , pare però che , per vendicarsi , uccisero chi li aveva traditi . Sulla
scia di storie come queste nacque più tardi la sceneggiata napoletana e tutto
quel che, tristemente, ne consegue.
I Fabi
uesta è una storia che conoscono in pochi , ma papà , come ben sai , è un po’ fissato , per cui , anche se
probabilmente non la troverai sui libri di testo , ti toccherà comunque ascoltarla.
Quella dei Fabi , una delle più illustri di Roma antica, era una di quelle
che oggi chiameremo una famiglia allargata , ma quando si esagera si esagera
visto che sembra fosse addirittura costituita da più di trecento persone. Ovvio
pertanto che non si poteva andare tutti d’amore e d’accordo ,
fu così che , per sottrarsi alle discordie interne, uscirono dalla città e si
accamparono di fronte ai Veienti , uno dei tanti popoli che ne minacciava la
sicurezza, e per due anni si opposero da soli all’irrompere del nemico.
Un giorno però caddero in un agguato e furono
trucidati , tutti tranne un fanciullo che , per sua
fortuna , non si trovava al campo . Così quella gloriosa casata non andò
completamente distrutta e diede altri insigni uomini alla Patria , li troveremo più avanti , per cui per ora tieniti la
curiosità e continua a leggermi perché è arrivato il momento di presentarti
l’amico Cincinnato , il mio preferito, uno che faceva quel che doveva senza
star lì a chiedere ricompense , forse il primo della storia , e in verità non
ne sarebbero seguiti molti .
Cincinnato
l console romano Minucio , siamo attorno al
Quando giunsero i messi del Senato Cincinnato
guidava i buoi aggiogati all’aratro , li scorse da
lontano e alzò gli occhi al cielo chiedendosi cosa diavolo volessero .
Asciugatosi il sudore che gli grondava dalla fronte ,
si fece portare la toga , la indossò in segno di rispetto – senza naturalmente
prendersi la bega di darsi almeno una sciacquata – e rimase in piedi ad
ascoltarli .
Saputo ciò che desideravano da lui si volse verso la
moglie e le disse : “ Temo che per quest’anno il
nostro campiello rimarrà incolto .” Subito dopo partì per la città a compiere
il suo dovere . Così mentre ,
l’inviperita signora Quinzio gli lanciava moccoli - dovendosi occupare , oltre
che di lavare , stirare e crescere i figli , anche dell’orto - egli raccolse tutti gli uomini validi alle
armi , marciò contro il nemico , lo sconfisse e liberò il console Minucio , l’unico che , in tutta questa bella storia, non ci fece davvero una gran bella figura.
A questo punto Cincinnato non pretese che di
potersene tornare bel bello alla modesta vita dei campi ,
senza onori né ricompense , a casa non l’aspettava una buona accoglienza , ma
questa è un’altra storia , materia da consultorio familiare che comunque non ci
compete .
Intanto a Roma la giustizia viene
amministrata un po’ alla buona , c’è un bel po’ di confusione , le leggi non
sono scritte ma tramandate di bocca in bocca e , come è facile intuire ,
l’interpretazione molto soggettiva , viene così nominato un decemvirato perché
ci si occupi di redigere una serie di norme ben precise , è il 449 quando vengono
finalmente promulgate . Sono le cosiddette Leggi delle XII tavole , ad elaborarle una decina di saggi , i decemviri appunto ,
che a questo punto , assaporato il gusto
del potere , ci provano e insistono per
restarsene in carica casomai ci fosse ancora bisogno di loro . Ma una
sollevazione popolare li convince ben presto che non è cosa ,
i Romani ormai si sono fatti furbi ,
così , presi codici e codicilli , se ne tornano a casa loro con la coda
tra le gambe.
A bussare alle porte di Roma ,
nel frattempo , un popolo bellicoso proveniente dall’odierna Francia , tu
mettiti comodo , vado a farmi un caffè e poi te li presento.
I Galli
rano chiamati Galli gli antichi abitatori della Francia , detta allora Gallia . Parte di
costoro avevano valicato le Alpi e si erano stabiliti
nella valle del Po , sino all’Adige ,
I cittadini abbandonarono in preda al panico la
città e i Galli entrarono dandosi al saccheggio e alla devastazione come
avrebbero fatto diversi secoli dopo i loro discendenti agli ordini di un
piccolo generale con manie d’onnipotenza , ma è presto
per parlarne .
Rimasero in piedi soltanto poche case e alcuni templi.
Anche il Campidoglio, ultimo rifugio dei pochi romani rimasti
, fu cinto d’assedio ; ma resistette a lungo , benché i difensori si
riducessero ormai a nutrirsi col cuoio degli scudi e delle scarpe , prima
macerato e poi cotto .
E tu che ti lamenti quando devi fare merenda con le crostatine perchè è finita la nutella
!!!!!
Alla fine gli invasori ,
stanchi d’aspettare la capitolazione, si accontentarono di un compenso di mille
libbre d’oro e se ne tornarono di corsa alle loro terre che , nel frattempo, erano
minacciate dai Veneti . Anche stavolta insomma rimediammo una sconfitta mascherata da
pareggio , per batterli sul campo avremmo dovuto aspettare i mondiali del 2006
, ma anche questa è un’altra storia.
Nel frattempo , per
nascondere questa nuova debacle , era necessario ricorrere ad una delle solite
leggende e in questo i romani erano veri maestri , la troverai nelle prossime
righe.
Furio Camillo
amillo, vincitore di Veio , ingiustamente accusato da pochi invidiosi della sua fama
, si trovava in esilio ,quando seppe dell’invasione dei Galli.
Di fronte al pericolo che correva la sua diletta
Patria , egli dimenticò l’ingratitudine dei suoi
concittadini e i torti ricevuti , radunò i soldati dispersi , volò in soccorso
di Roma e vi giunse appena in tempo per salvarla dalla vergogna.
Un tal Brenno infatti ,
capo dei Galli , pesava le mille libbre d’oro pattuite per togliere l’assedio
ma ci faceva la cresta usando dei pesi fasulli . I Romani ,
che non erano per niente scemi, se ne accorsero e glielo fecero notare. “Guai
ai vinti!” gridò l’energumeno , e gettò sulla bilancia
, nel piattello dei pesi, anche la sua spada .
Proprio in quel momento Camillo gli piombò addosso
esclamando : “ Non è con l’oro , ma col ferro che Roma
riscatta la sua libertà” e cominciò a menar le mani come un forsennato, ben
presto imitato dai suoi compaesani che , in un impeto d’orgoglio, presero le
armi contro l’invasore.
Una battaglia che non ti dico,
un vero massacro, ad avere la peggio furono naturalmente i Galli invasori ,
mentre il liberatore della Patria fece riedificare la città distrutta e si meritò
il nome di secondo Romolo. I Romani ,
riconoscenti , gli innalzarono così una statua nel Foro.
Siamo nel 390 , più o meno
mezzo secolo di tregua poi si ricomincia con le solite scaramucce .
Dopo aver consolidato il predominio sui popoli
vicini l’attenzione di Roma si spostò sulle floride regioni meridionali sulle
cui coste fiorivano i commerci delle colonie greche, il richiamo di questi
approdi facevano però gola anche ad un fiero popolo stanziato sui monti
dell’Abruzzo, i Sanniti. La lotta tra le due popolazioni durò la bellezza di 50
anni e, tra alterne vicende, si concluse con la vittoria romana nel
Mentre tentano di sedare una ribellione dei Latini , che pretendono insensatamente i loro stessi diritti
, scoppia la prima guerra sannitica ,
vinta dal console Valerio Corvo sul monte Gaura nel
343 ma è solo l’inizio. I romani vengono infatti sconfitti
dai Sanniti nella battaglia di Caudio nel 321 e
sottoposti all’umiliazione delle “Forche caudine” . Di che si tratta ? Te lo dico subito , aspetta solo
un momento , devo fare pipì , tu aspettami qui e intanto ripassa mentalmente la
lezione fin qui svolta.
I Romani, impegnati nella seconda guerra sannitica,
furono accerchiati mentre attraversavano una stretta
gola dell’Appennino Meridionale fra Campania e Sannio
– le forche caudine appunto - dalle
truppe nemiche e costretti alla resa. Fu loro concesso di ritirarsi
ma dovettero passare sotto il giogo , un ‘umiliazione che non venne mai
dimenticata. Tanto che i romani la vendicarono nella terza guerra sannitica quando, guidati da Marco Attilio, sconfissero i
sanniti , che, nonostante l’eroica resistenza , furono fatti passare nudi sotto
il giogo a loro volta , a quel punto Roma aveva lavato l’onta e , anziché
costringere il nemico ad invocare la pace,
lo fece diventare suo alleato, con il solito giochetto del divide et impera .
E’ il 312 quando il censore
Appio Claudio fa costruire la prima via lastricata , congiunge Roma a Capua e
prende da quello del suo ideatore il nome di via Appia
, appena l’anno dopo scoppia una nuova guerra , quella contro gli etruschi ,
Roma ovviamente ha la meglio e penetra nell’Etruria
centrale, Successivamente vince la resistenza dei Sanniti che , pur restando
indipendenti , devono rinunciare al possesso della Campania e , con il
dittatore Marco Valerio Massimo , trionfa sugli Etruschi e sui Marsi . Ma non c’è
pace , nel 290 si conclude la terza guerra Sannitica
con la resa dei Sanniti , a questo punto tutta l’Italia centrale è nelle mani
dei Romani anche se i Galli non si danno ancora per vinti e continuano ad
impegnare scontri sul territorio.
Il tempo per promulgare
Pirro
tavolta a doversi preoccupare dell’espansionismo
romano i tarantini. Sembra che Roma ce l’avesse con loro perché le avevano affondato cinque navi
nuove di zecca , ma si tratta probabilmente della solita scusa necessaria ai
guerrafondai per giustificare il ricorso alle armi , il casus belli insomma. Comunque sia andata
la città di Taranto si rese conto che da sola non avrebbe potuto farcela e chiese
aiuto al re dell’Epiro , tal Pirro , costui sbarcò in Italia e sconfisse i
romani ad Eraclea , è il
In questa battaglia , per
la prima volta, apparvero in campo venti elefanti, carichi di torri sormontate
di guerrieri armati di lance e frecce. Pirro la spuntò ma
la vittoria gli costò molto cara , tanto che da allora , quando si fa
riferimento ad una vittoria che ha l’amaro sapore di una mezza sconfitta , si
ricorre alla perifrasi “vittoria di Pirro”. Ma questo ,
sono certo , lo sapevi già.
Forse non conosci invece la storia di Fabrizio, sono
in pochi a conoscerla e difficilmente potrai trovarla nei libri di storia.
Dopo lo scontro Caio Fabrizio, valoroso condottiero,
già due volte console , fu mandato da Pirro per
trattare la restituzione dei prigionieri . Pirro tentò con l’oro di trarlo
dalla sua parte , ma il romano respinse i doni dicendo
: “Offrili agli schiavi che non hanno amore di patria!”
Tentò allora di spaventarlo con l’improvvisa
apparizione di un elefante che gli posò la proboscide sulla testa . Ma Fabrizio sorrise dicendo :
Come non mi sedussero i tuoi doni , così non mi fa paura il tuo elefante.”
Il re epirota capì che da
quel tipo non avrebbe ottenuto solo risposte sprezzanti e ne ebbe abbastanza concesse
così ai prigionieri di recarsi liberi a Roma ,
facendosi però promettere che , se la pace non fosse stata conclusa , sarebbero
tornati al campo . Ma i prigionieri , contro le sue
speranze , non proposero la pace al Senato e , fedeli alla promessa, tornarono
a costituirsi. Molti si chiedono , tra questi il
sottoscritto, perché tornare a casa per poi tornare indietro se non era loro
intenzione proporre quanto richiesto da Pirro . Comunque non è dato saperlo , per cui dovremo restare tutti con la curiosità .
A questo punto Pirro trangugiò una massiccia dose di
Malox e mandò ambasciatori a Roma per proporre un
accordo. Niente da fare, non ottenne nulla , il
vecchio senatore Appio Claudio si mise in mezzo e disse loro : “Esca prima il
nemico dal nostro territorio , e poi tratteremo la pace!”
Si combatté un’altra battaglia presso Ascoli , e anche questa volta il Re vinse ; ma ebbe
tali perdite da esclamare : “Ancora una vittoria come questa, e noi saremo
spacciati!”
La leggenda narra ancora che il medico di Pirro un
giorno offrisse a Fabrizio di avvelenare il proprio Re
, a patto di ricevere un lauto compenso dai romani. Fabrizio
, indignato per l’infame proposta , denunciò a Pirro quel vile, e Pirro,
commosso dalla lealtà romana – pare infatti che alla fin fine fosse un tenerone - lasciò
liberi tutti i prigionieri di guerra e disse : “E’ più facile deviare il sole
dal suo corso , che Fabrizio dal cammino della virtù.”
Tu non credere a tutto , i romani
non erano affatto quel che gli adulatori della storia vogliono farci credere ,
erano uomini e come tali anche spergiuri e traditori , ma soprattutto Pirro era
un mezzo selvaggio che frasi come quelle non se le sarebbe mai nemmeno sognate.
Ma questo resti tra noi , non andarlo a raccontare ai
tuoi professori , mi raccomando , non si sa mai.
Fu poi conclusa una pace onorevole
. Ma da lì a qualche anno le ostilità furono riprese e si combatté
un’ultima battaglia a Malevento ( ribattezzata per
l’occasione Benevento). Gli elefanti , questa
volta, colpiti dalle saette infuocate
dei romani , portarono lo scompiglio fra le loro genti . I romani insomma
ebbero la meglio , dopo di che Pirro se ne tornò in
Grecia e fu fatto fuori ad Argo .
Fu così che
anche Taranto , le migliori colonie greche e così
tutta l’Italia meridionale, furono assoggettate a Roma . Siamo nel 270 avanti
Cristo , l’Italia
, dalla Toscana allo stretto di Messina , era ormai praticamente romana.
Le tre guerre
puniche
a ai romani prudevano le mani ,
niente da fare , così nel 264 raccolgono l’invocazione dei Mamertini,
mercenari campani che l’anno prima avevano occupato
Messina dovendosela vedere con Siracusa e si scontrano con la potente città di Cartagine che aveva un presidio proprio a Messina. E’ il
casus belli , scoppia così la prima guerra punica.
Sulla spiaggia africana fioriva anticamente una
città potentissima chiamata Cartagine, tra Roma e Cartagine si ebbero due lunghe guerre dette puniche , perché Puni erano chiamati a
quei tempi i cartaginesi , la prima guerra avvenne per
il possesso della Sicilia e fu vinta dai Romani per terra e per mare. Roma non
aveva un flotta potente ma , considerata la preponderanza
di quella cartaginese, in meno di due mesi allestì
centoventi navi e ne diede il comando a Caio Duilio che riportò una grande
vittoria presso Milazzo. Dopo ventire anni di lotte , e dopo un’altra vittoria dei Romani presso le isole Egadi
fu conclusa la pace. I Cartaginesi dovettero cedere
Durante questa prima guerra un tribuno di nome Cedicio
, con poche centinaia di soldati , salvò l’intero esercito che si era lasciato
sorprendere n una stretta vallata. Ma non tutto filò liscio ,
si narra infatti che il Console Attilio Regolo , mandato in Africa a combattere
i Cartaginesi, fu sconfitto e cadde prigioniero. Ecco
quel che seguì.
Per ottenere la pace , i Cartaginesi inviarono a Roma lo stesso Attilio Regolo ,
facendosi promettere che, se la pace non fosse stata accettata , egli sarebbe
ritornato prigioniero, L’eroico Console consigliò i Romani a continuare la
guerra, poi , come se niente fosse, resistendo alle preghiere della famiglia e
degli amici, fedele al giuramento , ritornò a Cartagine
. La storia la conosciamo già , ricalca grosso modo quelle
che ti ho già raccontato, ma al povero Regolo non andò altrettanto bene come a
tanti suoi illustri predecessori , fu infatti rinchiuso in una botte irta di
chiodi e precipitato giù da una montagna. Brutta fine
poveraccio.
La seconda guerra punica avvenne perché i Romani , durante il periodo di pace, avevano tolto ai Cartaginesi le isole di Sardegna e Corsica.
I Cartaginesi , lividi di rabbia, mandarono allora in Italia Annibale, un
celebre condottiero, il quale sin da ragazzino aveva giurato odio eterno contro
i Romani. Con un poderoso esercito varcò i Pirenei, attraversò
Ancora una volta Roma fu costretta a provvedere alla
sua salvezza eleggendo un dittatore, Quinto Fabio Massimo .
Ma questi seguì la tattica di stancare il nemico molestandolo continuamente , senza però avventurarsi mai in una battaglia decisiva.
Per questo fu soprannominato il temporeggiatore. Ai Romani ,
maneschi ed impulsivi come li conosciamo, quei sistemi non andavano per niente
a genio, così , richiamarono il fin troppo prudente Fabio Massimo e lo
sostituirono con Paolo Emilio e Terenzio Varrone , quest’ultimo figlio di un
semplice beccaio , sì , un beccamorto insomma , vabe’
, impresario di pompe funebri. Adesso hai capito ?
Bene, anzi, male, infatti
anche a loro non andò meglio, rimediarono infatti una pesante sconfitta a Canne
, dove persero più di quarantamila soldati , ci rimise inoltre la pelle lo
stesso Paolo Emilio insieme a un’ ottantina di
senatori.
Grande fu lo sgomento a Roma per questa disfatta. Ma
la gloriosa Repubblica non si perse d’animo, e mentre
Annibale svernava con le sue truppe presso Capua , ricompattò
gli animi e organizzò un nuovo, più
forte, esercito.
Sulla panchina fu richiamato Fabio Massimo , a cui si affidò il compito di fronteggiare l’esercito di
Annibale , mentre il Console Claudio Marcello fu mandato in Sicilia , dove la
città di Siracusa parteggiava per i Cartaginesi.
Archimede
a città siciliana si difese lungamente , sorretta dal genio di Archimede, il più celebre matematico
e meccanico di quei tempi . Costui , benché vecchio e
prossimo alla pensione, mise a servizio della Patria tutte le forze del suo
poderoso ingegno.
Costruì meravigliose macchine che scagliavano
pesanti massi contro le truppe nemiche, altre che afferravano le navi per la
prua , le sollevavano in aria e poi le facevano
sommergere o infrangere sugli scogli e, si dice, inventò anche una combinazione
di specchi che le bruciavano a distanza . Un’ira di Dio insomma.
Tuttavia i Romani, nonostante tutto, per via di un
tradimento, riuscirono ad introdursi nella città e la saccheggiarono . Marcello aveva ordine di rispettare la vita di Archimede , ma per pura sfiga anche questi fu ucciso da un soldato
romano che non lo riconobbe . Alla domanda : “Sei tu
Archimede?” il grande matematico non aveva infatti risposto perché assorto
nella risoluzione di un problema geometrico. Meglio così : un teorema in meno da imparare alle medie.
Scipione
l’Africano
Romani riconquistarono
Dopo questi successi , Roma
mandò in Africa un esercito comandato da Cornelio Scipione , già famoso per aver
soggiogato
Egli vinse il nemico in diverse battaglie , così Annibale fu costretto ad accorrere in Africa per
difendere la patria . Fu però battuto a Zama e , a questo punto , a Cartagine
non restò che concludere in fretta una
pace rovinosa prima di rimetterci la stessa indipendenza. Annibale rosicò a
lungo , roso dall’odio contro i Romani, poi decise di
chiudere la sua avventura terrena e si avvelenò.
I Cartaginesi pagarono
diecimila talenti , restituirono tutti i prigionieri e
i disertori, consegnarono navi ed elefanti e diedero in ostaggio cento giovani
scelti dalle loro più illustri famiglie.
Scipione, soprannominato da allora l’Africano, ebbe
l’onore del trionfo e la sua immagine fu posta in Campidoglio per ricordo ai
posteri.
Ma non durò , i Romani
erano invidiosi e malfidati, così venne accusato d’essersi impadronito di una
parte del bottino di guerra , ed egli, che era innocente – o almeno così si
professò – sdegnò di difendersi e preferì morire in volontario esilio. Gli si attribuirono le celebri parole : “Ingrata Patria, non avrai le mie ossa.” Bella frase , certo, ma ai Romani interessava altro , se ne
accorgeranno in seguito altri grandi condottieri che finiranno dagli altari nella
polvere e , nei casi più disgraziati, nella fossa, solo perché la loro ombra
rischiava di offuscare , a torto o a ragione, quella della libertà.
Ma non è finita qua , i
romani non si fidavano e la terza punica fu da loro provocata col pretesto che Cartagine non aveva rispettato i patti di pace. Veramente
si era semplicemente limitata a reagire alle provocazioni di Massinissa , re della Numidia , che scorazzava per il territorio cartaginese saccheggiando e devastando , ma i Romani non
aspettavano altro . Un forte esercito , comandato da
due consoli, partì così di nuovo alla volta dell’Africa.
I Cartaginesi , per evitare il peggio , consegnarono le armi affidandosi
alla generosità del nemico. Ma il Senato di Roma aveva decretato la distruzione
completa della città, promettendo solo salva la vita a coloro che l’avessero abbandonata. Cartagine a
questo punto si difese disperatamente per tre anni; i suoi cittadini fusero i
metalli per farne armi, le donne fecero con il loro capelli
corde per le navi e per gli archi, ma tutto l’eroismo di quel popolo non valse
a niente. Il console Scipione Emiliano espugnò la città ,
la ridusse in cenere e poi fece passare l’aratro sulle sue rovine.
Colui che più aveva influito a mettere in atto il
piano della distruzione di Cartagine era stato Marco
Porzio Catone, un uomo di severi costumi che non rideva mai e si prendeva
sempre troppo maledettamente sul serio. Frenò infatti
il lusso dei Romani , perseguitò gli usurai , impose gravi tasse sui beni dei
ricchi , sugli schiavi di pregio, sulle vesti e sulle gioie delle matrone. Una
sorta di Visco dell’antichità insomma. Fu detto il
censore dal nome dell’ufficio che esercitava , cioè di
magistrato che vigila sui costumi dei cittadini. Un rompiballe.
Egli per tutta la vita predicò :”
Delenda Carthago!” Vale a
dire :” Bisogna distruggere Cartagine” , i Romani,
alla fine lo accontentarono. E’ il
Nel frattempo i Romani avevano trovato anche il
tempo di castigare gli illiri ,
occupare Medioanum annettendo