CAPITOLO 26

 

 

         Part time per Santa Lucia




 

 

 

l crepuscolo del 1995 le finestre dei palazzi sono tutte illuminate e dai vetri appannati filtrano le lucine intermittenti degli alberi di Natale. I tortellini galleggiano allegramente sulla superficie del brodo di carne che fuma sulla tavola imbandita, adorna , per l’occasione,  di una tovaglia rossa di bucato. Nell’atmosfera ovattata di fine anno poche sono le auto che percorrono la città, la serenità in famiglia regna sovrana , si prepara lo spumante , si affettano i salumi pregustando il tradizionale cenone di fine anno . I ragazzini sciamano per le stanze e gli uomini spettegolano di calcio e politica gustando l’aperitivo . Le signore , stremate  dai lunghi preparativi,  si lasciano andare su una sedia e , tra uno sbadiglio e l’altro,  accendono l’ultima sigaretta , poi,  radunati figli, mariti e nipoti, danno l’assalto all’antipasto . Le mandibole cominciano a scricchiolare e persino i più ciarlieri chiudono il becco e affilano gli incisivi per azzannare la fetta di prosciutto o assaporare il gusto della mozzarella di bufala assediata dal fritto di carciofi e zucchine.

Tutto sembra filare liscio, ma ecco che a guastare la festa appare sugli schermi televisivi -  come ogni anno da quando hanno inventato quell’infernale  tubo catodico - la malinconica figura del presidente della Repubblica per il consueto , e mai richiesto , messaggio di fine anno al popolino affamato e distratto.

L’espressione subdola di Oscar Luigi Scalfaro toglierebbe l’appetito a chiunque e pochi sono in effetti quelli che resistono alla tentazione di cambiare canale sintonizzandosi magari sul tradizionale varietà d’intrattenimento . Macché ! Niente da fare.  E’ dappertutto ! Affolla le reti di viale Mazzini e quelle del biscione , ed è inutile cercare scampo tra le frequenze riservate alle emittenti locali , sì è impadronito anche di quelle . Molti spengono la tivù , altri,  i più temerari,  preferiscono rischiare di rovinarsi il pasto . Per i pochi coraggiosi  le ciance sono le solite : auguri di rito, pennellate di patriottismo a buon mercato e l’immancabile appello ai partiti perché s’impegnino a proseguire nel dialogo avviato per arrivare alle ormai improrogabili riforme istituzionali.

Tra le perle appena sfornate dal governo Dini entra in vigore ad inizio anno la riforma del sistema pensionistico che richiede a chi è stanco di faticare e vorrebbe godersi la vecchiaia almeno 35 anni di contributi e 52 d’ età. Commercianti ed artigiani secondo il ributtante rospo di palazzo Chigi  lavorano meno , non possono quindi chiudere bottega prima d’aver raggiunto le 56 primavere. Sarà l’inizio di una corsa al rialzo che mira a far tirare le cuoia al lavoratore prima che il povero diavolo possa raggiungere la quiescenza . E’ in tal modo che si tenta di trarre in salvo il traballante carrozzone dell’Inps  destinato altrimenti a perire sotto i colpi di chi l’ha foraggiato per anni . Da quel momento in poi , per i pochi fortunati che riescono a trovare un posticino all’ombra di ministeri , enti locali o imprese private,  anche il pagamento dei contributi,  o marchette che dir si voglia,  diventa così l’ennesima tassa a fondo perduto da versare periodicamente all’ erario . Gli autonomi dal canto loro, consci di buttare i pochi quattrini scampati a tasse , bollette ed affitto in un barile senza fondo, tentano di sottrarsi all’ennesimo balzello. Invano.  Sulle loro tracce vengono sguinzagliate orde inferocite d’ ispettori e fiamme gialle. La lotta è impari , la resa incondizionata. I più fortunati prima di ritirarsi al paesello vendono il negozio o l’attività all’istituto di credito che già da tempo volteggiava come un avvoltoio pronto ad impadronirsi del vecchio esercizio d’angolo per trasformarlo in una filiale dotata delle più sofisticate lavatrici  .  Gli altri finiscono in mano agli strozzini o chiudono definitivamente bottega. Sempre più numerose , specialmente nelle vie meno frequentate e tra i vicoli nascosti , le saracinesche abbassate imbrattate da scritte antisemita o motti di tifosi sfigati. Ogni tanto qualcuno prova a sollevarle ma dura lo spazio di una stagione.

L’ex agente dei servizi segreti Roberto Napoli intanto rivela che il Sisde aveva cominciato a fare le pulci al pool di mani pulite e al suo più scomodo rappresentante  fin dal 1992.  Tonino a bordo della sua Mercedes, indeciso se voltare a destra o sinistra  sbanda paurosamente e finisce fatalmente fuori strada. Nel frattempo l’ennesima secchiata di merda che  si vede piovere addosso Silvio faccia di gomma  non  scuote più di tanto il futuro uomo della provvidenza. Uno dei suoi bravacci più in vista , Marcello dell’Utri , ex presidente di Publitalia, viene accusato di brigare con Cosa Nostra  -  bagattelle e loschi affarucci tra uomini d’onore  -  ma è la solita bolla di sapone che svanisce come d’incanto nell’aria nebbiosa della seconda Repubblica.  C’è chi comincia a provare una curiosa nostalgia per gobbi, nani e perfino corpulenti mariuoli in vacanza premio in Tunisia. Gli ominidi di piazza del Gesù e via del Corso  rialzano la testa e affilano le armi preparandosi a volteggiare sui cadaveri dei nuovi arrivati: dilettanti già decotti e pronti a beccarsi come i capponi di Renzo Tramaglino.

Stop and go! Torniamo a puntare i riflettori sul presente . Abbiate pazienza un istante : in città sta accadendo qualcosa di veramente insolito. 

Cacchio come nevica!

E’ il 23 gennaio , mancano venti minuti alle due, ho appena finto di spazzare via dalla scodella un piatto di pasta e patate da urlo,  preparato con la consueta maestria dalla mia signora ancora alle prese con i postumi di una brutta influenza . Veramente qui i malati sono tre .  Il mezzobusto del Tiggi ci ha appena rivelato che , mentre il nostro presidente del consiglio è tornato come nuovo dopo un miracoloso lifting – roba da non credere -  tre italiani su cinque sono a letto con l’epidemia di stagione. Almeno all’interno 8 di viale Libia 189 il conto torna: casa mia sembra  una corsia del Policlinico . Io? Speriamo che me la cavo.

Viene giù che è un piacere , fiocchi grossi come noci che danzano disordinati davanti alla finestra del mio studio. Chissà se attacca?

Ho cominciato a vedere  i primi batuffoli scendere fitti verso la mezza , non credevo potesse durare tanto a lungo .

I miei occhi a mezzo servizio hanno preso a curiosare dalla grande finestra del salone  dell’appartamento ormai deserto , all’interno 10 di piazza Gondar 14 , disegnando con la mente le nuvole bianche che assediavano quel mattino il ponte delle valli.

Mi trovavo lì per il tradizionale appuntamento delle 12,30  con il  perditempo di turno per il solito giro di ricognizione lungo i corridoi silenziosi dell’appartamento in vendita . 

In attesa del suo arrivo ho visitato ancora una volta quelle stanze in disarmo e fiutato quegli odori cari come un tossico in crisi d’astinenza che tenta inutilmente di segnare il territorio per far capire agli intrusi che quella è zona sua.

Sono entrato nello studio ormai vuoto , ho attraversato il corridoio , sbirciato oltre la porta del bagno quindi mi sono avvicinato al finestrone della mia stanza,  un tempo scintillante di poster e vinile ed oggi adibita ad anonimo magazzino ,  per spiare le strade e i palazzi di viale Libia. 

L’importuno seccatore tardava . Sono tornato indietro , entrato nel ripostiglio per controllare se ci fosse ancora qualcosa da portare via . Un’occhiata alla stanzetta di fronte poi sono sgattaiolato nella camera di mamma e papà. Nell’aria ancora il loro odore. Ancora uno sguardo verso i vetri  rigati dalla pioggia mista a neve  poi sono uscito da quella stanza dove tutto è rimasto fermo da quel triste mattino di maggio  .

Dal grande ingresso , ormai muto e solitario , ho guardato verso sinistra e ho rivisto me stesso bambino seduto sulla sedia di cucina . Il palmo delle mani sollevava appena le cosce in miniatura fasciate dagli scomodi pantaloncini all’inglese. I piedini ancora non toccavano terra e ciondolavano pigri con i calzini a mezz’asta  . Osservavo mia madre preparare la cena , rigovernare la cucina e ripetere a memoria i gesti d’allora.  Un tuffo al cuore, le farfalline nella pancia . Ho attraversato l’ultimo corridoio , un rapido sguardo al tinello sepolto da decine di scatoloni , dove un tempo si svolgevano le allegre schermaglie di quattro pesti col tovagliolo al collo. Ancora un passo , un’istantanea alla vaschetta del bagno di servizio  dove venivo  scartavetrato da piccolo al ritorno dal parco  nel vano tentativo di farmi tornare presentabile , infine ho varcato la soglia  di cucina .

Mi sono avvicinato alla finestra , fuori,  in cortile , un freddo pungente , la neve che spruzzava le ringhiere e l’odore di cavolo fritto che saliva dalla chiostrina . La signora Caroli si è affrettata a ritirare i panni stesi, poi rabbrividendo per il freddo ha richiuso di corsa la porta finestra prima di finire congelata.

A svegliarmi il trillo irritante del citofono .

Ma dove cazzo li trovano i quattrini per comprarsi casa mia?

Oggi è venerdì, c’è ancora il tempo per un ultimo , disperato tentativo di centrare quel benedetto  sei al  Super Enalotto.

Non si sa mai.

Ha già smesso di nevicare , sull’asfalto solo l’umido della pioggia e i segni dei pneumatici lasciati dalle poche auto in circolazione , i fiocchi non sono riusciti ad imbiancare nemmeno il terriccio sotto gli alberi . Il sogno è durato poco, chiudiamo anche questa melensa parentesi e riprendiamo il cammino intrapreso lungo la ripida salita dei primi mesi del 1996.

Anzi no. Non è il caso. Potrei non averne  più il tempo , da un momento all’altro anche quel poco di luce che mi resta potrebbe spegnersi e prima che Santa Lucia smonti definitivamente dal servizio , sarà bene rincorrere gli avvenimenti dell’anno in corso . Ad aiutarmi a rimestare nei giorni che mi sono appena lasciato alle spalle i mitici Pink Floyd . Sul piatto gira un vecchio ellepi del lontano 1971 , Atom hearth mother . Non so se mi spiego? Stiamo parlando di una delle pietre miliari del rock progressivo. Roba forte. Ma con chi  sto a parla’?

Immagino che vorrete sapere a cosa mi riferivo quando , qualche riga più su , accennavo all’ eventuale black out del mio senso preferito . Da sempre il meno sviluppato. Che dirvi? Me ne sono improvvisamente reso conto mentre girovagavo a bordo del vecchio zip nero coatto , finito in quiescenza  qualche mese fa .

Ero appena uscito dal portone del civico 45 di via Scarpanto per il periodico incasso della polizza del buon De Angelis e, balzato in sella al cinquantino me ne tornavo tranquillamente verso casa. Via di Valle Melaina era trafficata come al solito. Forse anche di più.

All’improvviso per qualche ragione , forse un pizzicore , forse una folata di vento – non ricordo -  ho chiuso l’occhio sinistro  e fissando con l’altro la targa dell’auto che mi precedeva mi sono reso conto che le cifre di quella placca bianca e nera  fluttuavano curiosamente  . Lì per lì ho pensato che mi si fosse spostata la lente e ho stropicciato la palpebra. Macché! La visione non cambiava di una virgola : un buco nero al centro e immagini distorte in periferia. Cazzo! Oltre alla gastrite, alla colite e all’artrosi al braccio era arrivata – prevista ma non per questo meno sgradita – la degenerazione della retina. I sintomi erano evidenti : comparsa di distorsioni e ondulazione nella visione centrale . Chi ne soffre nota queste disfunzioni quando fissa oggetti dai bordi dritti come  palazzi o scalini. Era il mio caso. Da manuale ! La successiva visita oculistica ,  effettuata solo qualche ora dopo dal mio amico Giorgio Gueli – la paura fa novanta - non fece che confermare i miei più foschi presagi .

D’altronde il Dottor Cristofari , un menagramo dall’aria pacata e gli occhi piccoli e torvi scovato da papà perché verificasse la possibilità di farmi assegnare una pensione d’invalidità , me l’aveva già tirata vent’anni prima durante un’accurata visita di controllo effettuata nell’oscurità del suo studiolo appollaiato in un palazzone del quartiere Trionfale A dire dell’insigne specialista il distacco della retina sembrava imminente , questione di mesi, invece cornea , cristallino , vitreo , fovea , coni e bastoncelli avevano continuato per anni , sia pure a fatica , a fare il loro dovere permettendo alla retina d’invecchiare serenamente senza darmi troppi grattacapi. Ora anche per lei era arrivata l’età della pensione.

Da quel maledetto giorno la minuziosa osservazione dell’insegna del garage sotto casa diventò  un’autentica fissazione . La verifica diventò routine : ogni benedetta mattina , che uscissi o rincasassi, alzavo lo sguardo, tappavo l’occhio buono e i caratteri deformati di quel cartellone giallo e blu  cominciavano immancabilmente a danzare . Neanche ai tempi delle canne!  Questo fino a qualche tempo fa. Poi la situazione  è peggiorata , ora non riesco più nemmeno a distinguerli e il caos è completo. Meglio così : l’occhio malato ,  confondendo ulteriormente luci, immagini e sensazioni,  non rompe troppo i coglioni a quello in servizio che, sia pure obbligato al doppio lavoro, pare continui a cavarsela piuttosto bene.   Nella speranza che si prenda cura  del superstite  e continui a preservare quel poco di vista che mi resta , Santa Lucia  - è naturale - è entrata nelle hit delle mie preghiere . A tarda sera , prima di accendere la radio e chiudere gli occhi , dopo le preci per i miei cari e i doverosi ringraziamenti a Mamma e Figlio, il mio pensiero corre a lei e a quella piccola statua di gesso conservata nella nicchia della chiesetta di San Salvatore.

Mi tornano alla mente le parole scritte da nonna Nannina preoccupata per la salute del marito. Ricordate? “...prima di tutto per un esaurimento nervoso, dovuto alla caduta della sua banca, poi non aveva la tessera fascista, ed infine gli principiavano a scendere le cateratte, lo adoravo tanto che il mio più grande dolore era quello di vedere lui con la sua bella intelligenza ridotto su una poltrona e qualche volta vederlo pure a piangere.”. 

Spero di non seguire quelle orme. L’esaurimento oggi si chiama “depressione” e la rabbia che ho in corpo mi auguro contribuisca ad allontanarla e a salvaguardare le mie coronarie. La tessera fascista ha nome “conformismo” ed anche se ogni mattina mi sveglio con la pretesa di un ruolo da protagonista  non mi pare di soffrirne più di tanto. La “caduta della banca” somiglia in modo inquietante al calcio in culo che sta per mollarmi l’azienda per la quale lavoro , anche se non ho ancora  compreso se sarà un bene o un male. In quanto alla crescita anormale dei vasi sanguigni sotto la retina e alle cicatrici comparse nel bulbo oculare ,  ho paura siano la naturale evoluzione della degenerazione maculare legata all’età  , quella che nel ‘trentacinque era stata diagnosticata a mio nonno come semplice  cataratta. Mi auguro solo non debba acquistare un pastore tedesco. Non saprei proprio dove metterlo.   

Ma molto altro stava per accadere. Ne parleremo nel prossimo capitolo, vi basti sapere per ora che, purtroppo, quel sospirato sei non sono riuscito a centrarlo . Potete facilmente immaginare con quali conseguenze.