Capitolo 12

 

Bianca

 

 

 

 

 

Nell' aria fumosa del caffè  cercò una sedia  libera accanto ad uno dei numerosi tavolini allineati in un’unica lunga fila centrale . L'ambiente era animato e riscaldato oltre misura , preferì togliere la giacca. Era seduto da pochi minuti quando, pallida e tremante, gli si avvicinò Bianca.

"Scusate signore…" Balbettò rivolgendosi al nuovo arrivato.

" Dite."

"Perdonate, la mia invadenza , non vorrei importunarvi."Proseguì con voce incerta tormentando il manico della borsa che teneva sotto il braccio.

"Vi ascolto."

Intirizzita dal freddo la giovane inghiottì la lacrima che le era scivolata sul viso poi aggiunse:"Sono giorni che non mangio…"

Dapprima  quella inattesa confidenza lo confuse . Possibile che potesse esserci qualcuno più sventurato di lui al mondo? Poi  si riprese dalla sorpresa ,  scostò la sedia di fronte e la invitò a sedere.

"Come posso sdebitarmi?"Chiese la donna.

"Non posso offrirvi granché, ma quel poco ve lo offro di cuore."

"Per carità, signore anche un pezzo di pane basterà."

"Non chiamatemi signore." La interruppe. "Vi sembro forse un signore ?"Poi, tesa la mano verso di lei,   si presentò: "Mi chiamo Gabriele."

La giovane scollò la mano sudata dall'impugnatura della borsetta e la porse all'uomo.

"Bianca… signore…il mio nome è Bianca De Rubeis"

Il ragazzo, chiamato il barista, ordinò la cena poi si soffermò a studiarla attentamente. Non sembrava una povera disgraziata , aveva l'aspetto di una donna di classe, curata e ben vestita. Era alta , snella, indossava un elegante cappotto grigio sotto al quale  portava una camicetta bianca di ottima fattura con il collo finemente ricamato. La gonna plissettata a scacchi bianchi e rossi lasciava appena intravedere le calze di seta nera , ai piedi un paio di scarpe che davano l'idea di costare un occhio della testa.

Aveva lunghe ciglia impiastricciate da un filo di matita che ne sottolineava lo sguardo ma gli occhi erano tristi ,  tra le pieghe di quel viso provato era facile leggere la storia di giorni disperati. Tolse il grazioso cappellino di lana liberando così una cascata di riccioli neri, lo pose sulla sedia vuota accanto alla sua e cominciò a divorare quell' insperato pasto.

"Fame è?"Domandò con un largo sorriso Gabriele osservando divertito l'impari lotta tra la zuppa di fagioli e la famelica invitata.

Imbarazzata Bianca ingoiò il boccone,  pulì le labbra con il tovagliolo ed annuì col capo poi , accennato un sorriso, triste come quello di un bimbo maltrattato  , afferrò dal cesto una fetta di pane, la inzuppò nella scodella e riprese a mangiare avidamente.

Gabriele impugnò la brocca e le versò da bere .

"Piano…piano. Così finirete per strozzarvi! Ecco bevete. "

"Grazie Signore…grazie tante…"

"Cosa diavolo vi è successo signorina? Non avete nessuno che si occupi di voi?"

"Non ho niente….tutto quel che avevo me l'ha portato via la guerra."

"Non capisco, non avete l'aspetto tanto dimesso."

"Sono ebrea."

Il ragazzo non capì, non sapeva niente di quello strano conflitto che aveva lasciato combattere agli altri. La donna si rese conto del suo disagio e gli domandò:

"Da dove venite signore? Dove avete vissuto questi ultimi anni ? Non conoscete  le leggi razziali ?"

 "Che volete che ne sappia? Sono soltanto un poveraccio che viene da un paese sciagurato in mezzo ai monti dimenticato persino dal Padreterno."Tentò di scusarsi Gabriele."Non so niente di quel che succede al mondo."

Bianca lo guardò incredula poi continuò:

"Avevo tutto, un incantevole appartamento , dei genitori che m'adoravano, un fidanzato che mi amava e la segreta speranza di farmi una famiglia tutta mia  una volta  terminati gli studi. Un giorno mi dissero che avrei dovuto lasciare la scuola, le compagne, tutto. Non capivo, non riuscivo a capire.

Poco dopo mio padre perse il posto di lavoro, cominciammo a passarcela male, in breve fummo costretti a vendere la nostra bella casa e ci trasferimmo nel ghetto.

Poi, una notte, arrivarono i nazisti, mia madre mi urlò di fuggire, scappai fuori e cominciai a correre senza riuscire a fermarmi per vedere cosa accadesse dietro di me. Riuscì a salvarmi nascondendomi tra i vicoli, sentì le urla, gli spari , li portarono via, tutti e due, insieme al mio promesso sposo e a tanti altri poveri sventurati . Non ho saputo più niente di loro.”

Il ragazzo ,sconcertato, ammutolì , poi si scosse dal torpore, scrollò il capo e tornò a chiederle:

“Ma ora è tutto finito? Non c’è più la guerra. Potrete tornare a spulciare i vostri libri.”

Bianca sorrise teneramente , fissando il suo anfitrione mordicchiò le labbra poi,  inarcate le sopracciglia,  rispose:

“Certo. Come no?”

Gabriele continuava a non afferrare.

“Ma non vedete? Non capite che mestiere faccio?”Continuò .Sono scappata.”

“Scappata? Scappata da dove?”

“Da un bordello!”

Finalmente  comprese, si portò le mani al viso , appoggiò il capo tra le dita piegando il gomito per sorreggerlo e restò ad ascoltare.

“Non potevo continuare” proseguì la ragazza “non ne potevo più.”

Gabriele  questa volta capì, le sollevò il mento e cercò i suoi occhi ruzzolati tra le pieghe e le macchie di vino della tovaglia alla buona che ricopriva la tavola.

“Sono felice che tu abbia rinunciato a quella vita.”

Bianca lo guardò piena di riconoscenza, una lacrima s’affacciò tra le ciglia umide.

“Mi ammazzeranno! Capisci? M’ammazzeranno appena mi troveranno. Perché mi ritroveranno,questo è certo, ed io non posso farci niente!”

Tentò di calmarla.Sei andata alla polizia?”

La ragazza non rispose

“Da quanto tempo sei fuggita?”

“Due giorni. Due giorni d’inferno, due giorni e due notti di paura! Con il terrore di vederli spuntare prima o poi dall’angolo di un palazzo.”

Gabriele stava per ribattere quando un tipaccio comparve al tavolo . In un primo momento si limitò ad osservare la coppia passandosi da una  mano all’altra un cappellaccio, poi ,  afferrato il braccio della donna,  la sollevò di peso dalla sedia esclamando ad alta voce:

“Andiamo! Su forza furbacchiona!”

Bianca non oppose resistenza , s’accartocciò tremante come una foglia nel largo cappotto e fece per seguirlo.

“Scusate signore!”

 Intervenne Gabriele alzandosi di scatto , poi , trattenendo l’uomo per la giacca : “Forse la signorina non vuol venire con voi!”

“Zitto per carità!” L’implorò Bianca.

Questa volta non voleva capire, non si tirò indietro.

Tutta l’attenzione della sala era rivolta al tavolo, l’energumeno si rivolse al ragazzo e senza neppure voltarsi e degnarlo di un’occhiata con voce ferma l’ammonì:“Non t’impicciare! Se vuoi morire di vecchiaia!”

“La lasci stare!”Ripetè Gabriele.

Lo sguardo gelido dell’omone scivolò verso il lembo della sua giacca ancora stretto nel pugno del ragazzo , poi salì a fissare i suoi occhi, le labbra si contrassero in un ghigno spietato quindi con la sua enorme mano attanagliò il polso del giovane che con una smorfia di dolore fu costretto a mollare la presa. Serrò gli occhi per un breve attimo mordendosi  le labbra , impugnò la mano dolorante con l’altra per attenuare la fitta poi rialzò la testa e si scagliò con rabbia contro quella massa di grasso e muscoli che gli aveva voltato le spalle dirigendosi  con la ragazza verso l’uscita del locale.

Investito da quella furia l’uomo, avvinto al suo aggressore, rovinò sul bancone e finì contro un tavolo apparecchiato che  si schiantò con un fracasso infernale. I due rotolarono a terra, gli incauti avventori del bar gli fecero largo. Gabriele colpiva alla cieca digrignando i denti e roteando i pugni, la sua vittima non avvertiva  neppure quei colpi ma rimase sorpresa da quell’inaspettato coraggio. Fu un attimo poi, senza il minimo sforzo, si liberò di quel fastidioso insetto scagliandolo contro la vetrata che finì in frantumi sotto gli occhi allibiti del barista.

Un silenzio irreale precipitò nella sala, Bianca vedendo il ragazzo a terra, pallido , quasi di cera, gli occhi socchiusi , la testa reclinata sulla spalla, la fronte sanguinante, si chinò per soccorrerlo ma il suo carnefice aveva già perso troppo tempo . L’afferrò ancora una volta per il polso e la trascinò fuori sparendo in breve alla vista nella nebbia che s’era fatta sempre più fitta.

L’altro, a terra, lo vide andar via, alzò lo sguardo su quanti erano rimasti a guardare senza intervenire ed ora tornavano a bere e conversare come nulla fosse accaduto. Nei suoi occhi il disprezzo per quei cuori codardi, nel petto la pena per non essere riuscito ad aiutare quella povera ragazza .

Nonostante avesse male dappertutto riuscì a sollevarsi da quel lurido pavimento , asciugò con il dorso della mano il sangue raggrumato sulle labbra tumefatte e,  raccolta da terra la giacca,  varcò a sua volta la porta del bar.

 Uscito in strada si guardò intorno nella speranza di ritrovare i due ma nell’oscurità che era ormai calata su Roma non vide altro che la luce dei lampioni che fendeva i vapori della notte.

Il freddo si era fatto più intenso , la bile che inghiottiva gli avvelenava il cuore, il sangue pareva ribollire , allacciò i bottoni della giacca  , accostò la sciarpa alla gola e s’incamminò lungo un viale alberato che rasentava il marciapiede e quegli alti edifici ornati di rilievi, fregi e sculture che sembravano sfiorare il cielo . Prima d’allora li aveva visti solo in qualche fotografia, immagini stampate sui libri di testo o vecchie cartoline riposte alla rinfusa nel baule accanto al camino .

I suoi occhi osservavano increduli quel paesaggio tanto diverso dai monti della Marsica, ogni tanto si fermava incantato a sezionare i dettagli di statue e monumenti , senza peraltro dimenticare quanto gli era capitato poco prima.  

D’un tratto da un vicolo ritagliato nella notte accanto ad un superbo palazzone , un tempo antico , ormai semplicemente vecchio, sbucò l’esile figura di un randagio. Era magro, sporco , aveva il muso allungato e il pelo ispido e appiccicoso come uno sciroppo .  Aveva fame, una gran fame, Gabriele lo intuì quando l’animale gli si avvicinò cercando nella sua mano il conforto di una carezza amica . Si chinò, lo accarezzò tenendo quel muso triste nel palmo della mano , fissò intenerito quegli occhi dolci che sembravano ravvivarsi al calore di quelle insperate attenzioni , osservò divertito la lunga lingua ruvida che annaspava dalla bocca semiaperta, scompariva all’interno per un breve istante e  tornava a srotolarsi ancora più ansimante.

Un latrato festoso accolse quelle carezze ma il tempo delle coccole  era già finito , l’uomo s’era rialzato per riprendere il cammino,  il cagnaccio lo vide allontanarsi , poi , passato il primo attimo di disorientamento , lo cercò in fondo alla strada e gli si accodò.   Cominciò a seguirlo come un’ombra , correndo avanti di tanto in tanto senza mai perderlo di vista  per poi fermarsi , scodinzolando agli incroci  , ad aspettare il nuovo amico.

Trascorsero i minuti , forse una decina , il lungo viale era scomparso ingoiato dalle tenebre , Gabriele aveva seguito le indicazioni del suo parroco e, imboccata la via laterale tracciata con perizia sul foglietto che aveva tra le mani , aveva raggiunto una piccola piazza. Sul selciato si specchiavano le luci di una piccola locanda , alzò gli occhi, lesse la targa, “Pensione San Martino della Battaglia ”, era arrivato. Dalle condizioni dello stabile s’intuiva che il costo di una camera non doveva essere troppo esoso , rassicurato, si diresse verso l’entrata, ma prima di varcare la soglia si voltò indietro .

Il compagno di quel breve viaggio lo fissava, nei suoi occhi l’amarezza del distacco, nello stomaco la nuova straziante delusione e l’ormai familiare solitudine di tutti i giorni . Ancora un batter di ciglia poi distolse lo sguardo , si voltò e cominciò a vagabondare frugando tra gli avanzi del giorno di mercato e le cassette vuote della frutta accatastate ai bordi del marciapiede .       

Sulla sediaccia della portineria era seduto un vecchio, dormiva profondamente russando come un maiale sotto la  folta barba bianca.

“Scusate signore...”

Bisbigliò l’avventore quasi avesse timore di svegliarlo.

Nulla . Il vecchio rudere continuava a ronfare della grossa.

“Signore?!”Ripeté questa volta a voce alta .

“ Eh! Cosa...c’è? “ Esclamò l’uomo sobbalzando. Con una punta di sospetto scrutò da capo a piedi quel ragazzo male in arnese apparsogli davanti all’improvviso  , poi continuò.

“Che volete? Una camera?”

Gabriele annuì.

“Stanza 12 . Primo piano. Firmate qua! “Gli intimò allungandogli una penna dopo averla tuffata nell’inchiostro. 

Gabriele la impugnò , tentò di asciugare il pennino sfregandolo contro il bordo del calamaio , quindi appose la firma sul sudicio registro posto sullo scrittoio.

Porgendola al giovane il portiere fece tintinnare la chiave nella mano destra , poi con il palmo di quella sinistra proteso in avanti , aggiunse:“Pagamento anticipato!” 

Gabriele gli diede quanto convenuto poi , accompagnato dal vecchio che imprecava ad ogni gradino lamentandosi per i dolori alle ossa  , salì le scale che conducevano alla stanza assegnatagli.

“Buona notte!”

Augurò , ma il custode senza degnarlo di un cenno di saluto aveva già ripreso a smoccolare , alternando gemiti a bestemmie,  scendendo per l’ennesima volta il suo calvario.

Lo osservò per un breve istante , poi si voltò , infilò la chiave nella serratura , la girò ed entrò .

Era stanco , stanco del viaggio, stanco di quella giornata storta , stanco di tutto. Non accese nemmeno la luce, intuì davanti a se il letto, tolse la giacca, si cavò gli scarponi infine , senza nemmeno finire di spogliarsi,  si lasciò cadere su quel provvidenziale giaciglio .

I suoi pensieri tornarono a quanto era accaduto in quel bar, a  quella strana ragazza che sembrava passarsela peggio di lui, avrebbe voluto rivederla, fare qualcosa per lei.

“Domani.” Pensò “Domani.”

Si rigirò tra le lenzuola tirando a se le coperte , rimuginò per qualche minuto fantasticando propositi a dir poco velleitari, poi , sopraffatto dalla stanchezza , precipitò finalmente in un profondo sonno .